Perdiamo più del 30 per cento e otto milioni di italiani hanno un servizio scadente.
Otto milioni di italiani che rimangono a secco e non solo d’estate. Il 30 per cento del Belpaese che scarica il contenuto delle fogne direttamente nei fiumi e nel mare senza il passaggio nel depuratore. Una rete idrica colabrodo con perdite medie del 35 per cento e punte di oltre il 50 per cento. È la radiografia di un Paese che fa acqua da tutte le parti. Un’emergenza ignorata che ci costerà oltre 60 miliardi di euro distribuiti in 30 anni. Soldi che sborseremo con le bollette sempre più salate, tanto che il Coviri (Comitato di vigilanza sulle risorse idriche) ha calcolato che pagheremo come minimo 115 euro in più a testa ogni anno per 20 anni. Una bolletta più cara di 460 euro all’anno per una famiglia di quattro persone. Un servizio dunque che ci costerà sempre di più, secondo alcuni anche per effetto della privatizzazione, ma al di là dei milioni di italiani che durante l’estate hanno una dotazione media a persona che scende ai livelli del Congo, cioè sotto i 50 litri al giorno, com’è la qualità di ciò che beviamo?
«Ottima», esordisce Massimo Ottaviani, direttore del Reparto di igiene delle acque interne dell’Istituto superiore di sanità (Iss), «i controlli sono effettuati con regolarità dalle Arpa, dalle Asl e dagli stessi gestori». Una qualità garantita da una legislazione severa. «Anche se la responsabilità del gestore si arresta al contatore». Spesso sono le condutture dei privati a nascondere qualche insidia. «In linea di massima non abbiamo riscontrato problemi», rassicura il dirigente dell’Iss. «Da una recente ricerca, sono emersi pochi casi critici per il superamento del limite previsto per il nichel e il piombo, ma nulla di drammatico».
Semmai il problema più serio potrebbe essere rappresentato dalle deroghe previste dalla legge per quelle zone del Paese che non riescono a rispettare i parametri fissati dal Decreto legislativo n. 31 del 2001. Deroghe che erano state concesse in via temporanea per due trienni consecutivi dal ministero della Salute e scadute il 30 aprile del 2009. Di conseguenza, l’acqua di alcune zone delle Province autonome di Trento e di Bolzano e delle Regioni Campania, Lazio, Lombardia, Toscana e Umbria avrebbe dovuto essere dichiarata non "potabile". Ma un provvidenziale Decreto ministeriale del 30 dicembre 2009, firmato da Ferruccio Fazio, ha "derogato" le deroghe in attesa del pronunciamento della Commissione europea. Così, gli abitanti di alcuni Comuni del Centro-Nord continuano a bere acqua con un contenuto di arsenico che supera abbondantemente il limite di 10 microgrammi per litro. «È giusto essere prudenti», dice Ottaviani, «ma parliamo di un rischio remoto, considerando un consumo di due litri al giorno per 70 anni... semmai il problema è un altro: certi allarmi sono strumentalizzati dalla concorrenza, spesso sleale: chi vende l’acqua minerale».
L’acqua per definizione si dice potabile quando è limpida, trasparente, incolore, non contiene sostanze dannose alla salute né batteri patogeni e una quantità di sali equilibrata. Il D.lgs. n. 31 del 2001 ha esteso il concetto di potabilità alle acque che hanno un uso igienico o, più in generale, domestico.
In primo luogo vengono selezionate le risorse idriche che potranno essere usate per produrre acqua potabile, scartando quelle fonti che, per la presenza di massicci insediamenti produttivi, risultano eccessivamente inquinate. Il D.lgs. n. 31 del 2001 detta i requisiti di qualità delle acque destinate al consumo umano, qualunque ne sia l’origine, sia che vengano prelevate alla fonte, sia che vengano distribuite da acquedotti pubblici.
Le acque, trattate o no, che possono essere bevute, usate per la preparazione di cibi, bevande o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori.
I controlli possono essere interni ed esterni. Quelli interni sono effettuati dal gestore che fornisce il servizio idrico, che ha il dovere di conoscere le caratteristiche dell’acqua che eroga ed eventualmente adottare interventi in caso di variazioni della qualità. I risultati dei controlli devono essere conservati per almeno cinque anni, per un’eventuale consultazione da parte dell’amministrazione che effettua i controlli esterni. Quest’ultimi sono svolti dall’Azienda sanitaria locale territorialmente competente. Il controllo viene effettuato per verificare che l’acqua analizzata risponda ai requisiti richiesti e per applicare le eventuali sanzioni previste dalla legge.
- Cosa succede se dopo un controllo l’acqua non risponde ai requisiti di legge?
L’Autorità d’ambito, d’intesa con l’Asl e con il gestore che fornisce il servizio idrico, individua tempestivamente le cause per cui l’acqua non risulta conforme ai requisiti e indica i provvedimenti necessari a ripristinare la qualità, tenendo conto del potenziale pericolo per la salute. Qualora non vengano superati i parametri richiesti per legge, ma per qualche motivo l’acqua presenti un potenziale pericolo, l’Asl informa l’Autorità d’ambito che vieta la distribuzione o ne limita l’uso. Oppure vengono adottati altri provvedimenti idonei a tutelare la salute umana.
- Che differenza c’è tra l’acqua minerale e l’acqua potabile?
Per la legge sono due prodotti diversi, in realtà l’unica sostanziale differenza è la clorazione delle acque potabili. Dal 2004 anche le acque minerali possono essere sottoposte a trattamento con ozono per abbassare il livello di arsenico o di manganese. Purtroppo questo trattamento genera bromati, sostanze potenzialmente pericolose per la salute.
60,52 miliardi di euro i fondi necessari per rimettere in sesto la rete idrica nazionale, da spendere in 30 anni
6,116 miliardi di euro i ricavi ottenuti dalla vendita di acqua a fronte di investimenti per 1,109 miliardi di euro.
Da dove arriva ciò che beviamo?
53%da fonti sotterranee
37% da sorgenti
10% da fiumi e laghi
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