mercoledì 24 marzo 2010

Acque minerali:è far west per i canoni di concessione regionale

Veneto e Lazio le Regioni più virtuose

Bocciate Liguria, Calabria, Molise, Emilia Romagna, Sardegna, Puglia e Alto Adige

Tutte le cifre del “business dell’oro blu in bottiglia”

nel rapporto di Legambiente e Altreconomia

In Italia nel 2008 sono stati imbottigliati 12,5 miliardi di litri di acqua, per un consumo pro capite di 194 litri, più del doppio della media europea e americana che si aggirano sugli 80 litri. Acqua di sorgente prelevata da 189 fonti da cui attingono 321 aziende imbottigliatrici che pagano spesso cifre irrisorie per realizzare poi enormi profitti, come dimostra il giro di affari di 2,3 miliardi di euro raggiunto nel 2008.

In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, con il dossier Il far west dei canoni di concessione sulle acque minerali Legambiente e la rivista Altreconomia tornano a denunciare l’imbarazzante quadro nazionale sulle tariffe pagate alle Regioni italiane dalle società imbottigliatrici.

In assenza di una legge nazionale che definisca gli importi dei canoni di concessione per l’imbottigliamento delle acque minerali, infatti, ciascuna Regione decide in autonomia. È ancora un obiettivo lontano l’adeguamento delle leggi regionali sui canoni di concessione alle linee guida nazionali approvate nel 2006 e che prevedono tre tariffe: da 1 a 2,5 euro per metro cubo o frazione di acqua imbottigliata; da 0,5 a 2 euro per metro cubo o frazione di acqua utilizzata o emunta; almeno 30 euro per ettaro o frazione di superficie concessa.

Dal 2006 ad oggi 11 Regioni hanno rivisto la normativa, ma solo 5 lo hanno fatto adeguando i canoni alle linee guida nazionali. Alcune regolano ancora i canoni di concessione con leggi del secolo scorso: è il caso del Molise e della Sardegna dove vige il Regio Decreto del 1927, mentre in Liguria è vigente la legge regionale del 1977 e in Emilia Romagna quella del 1988.

Promosse a pieni voti nell’esame di Legambiente e Altreconomia solo il Veneto e il Lazio che hanno previsto i canoni più alti: 3 euro a metro cubo di acqua e fino a 587 euro per ettaro nella prima e 2 euro per metro cubo imbottigliato e fino a 120 euro per ettaro nella seconda.

Promosse con riserva per aver previsto il doppio canone sulla superficie della concessione e sui volumi di acqua, superiore o uguale a 1 euro a metro cubo: Valle d’Aosta, Marche, Provincia autonoma di Trento, Sicilia (anche se fa pagare solo 11 euro per ettaro), Umbria, Friuli Venezia Giulia. In questa categoria anche le due Regioni che fanno pagare le aziende solo per i metri cubi emunti con canoni in linea con le indicazioni nazionali, e cioè Toscana e Abruzzo.

Rimandate, perché prevedono canoni in funzione dei volumi di acqua ma al di sotto di 1 euro per metro cubo imbottigliato, Piemonte, Lombardia, Basilicata e Campania.

Bocciate, invece, perché fanno pagare solo in base alla superficie della concessione e non sui metri cubi, Liguria (5 euro per ettaro, è il canone più basso d’Italia), Calabria, Molise, Emilia Romagna, Sardegna e Puglia (50 euro per ettaro). In questa categoria rientra anche la provincia autonoma di Bolzano che fa pagare un canone davvero discutibile fondato sulle portate medie annue in concessione.

Il ‘business dell’oro blu in bottiglia’ continua ad essere insostenibile per la collettività sotto il punto di vista economico e ambientale. Le Regioni incassano dalle aziende cifre irrisorie e insufficienti a ricoprire anche solo le spese sostenute per la gestione amministrativa delle concessioni o per i controlli, senza considerare quanto viene speso dagli enti locali per smaltire in discarica o in un inceneritore il 65% delle bottiglie in plastica che sfuggono al riciclaggio.

L’impatto ambientale delle acque in bottiglia non si limita solo a questo aspetto. L’imbottigliamento di 12,5 miliardi di litri comporta l’uso di 365mila tonnellate di PET, un consumo di 693mila tonnellate di petrolio e l’emissione di 950mila tonnellate di CO2 equivalente in atmosfera. Per la fase di trasporto poi solo il 18% delle bottiglie di acqua minerale viaggia su ferro, mentre il resto è affidato ai grandi TIR che viaggiano per centinaia di chilometri lungo le autostrade d’Italia consumando combustibili fossili (gasolio) ed emettendo grandi quantità di inquinanti in atmosfera (da quelli globali come la CO2 a quelli locali come il PM10).

Secondo Legambiente e Altreconomia, un processo di revisione e innalzamento dei canoni non solo consentirebbe di “ripagare” il territorio dell’impatto di queste attività, ma anche di recuperare fondi, in un periodo in cui è sempre più difficile reperirli, da destinare a finalità ambientali.

“Anche aumentando a 2,5 euro il canone per metro cubo di acqua - ha dichiarato Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente - le aziende imbottigliatrici non subirebbero nessun salasso, considerando che la spesa totale annua ammonterebbe a circa 31 milioni di euro a fronte di un giro di affari di 2,3 miliardi di euro, mentre le casse regionali ne trarrebbero sicuramente giovamento”.

Tanto per fare un esempio la Campania, che oggi prevede uno dei canoni più bassi vigenti per metro cubo imbottigliato (0,3 euro per metro cubo), nonostante sia tra le regioni dove si imbottigliano le maggiori quantità di acqua minerale (1 miliardo di litri all’anno), se adeguasse il canone alla cifra di 2,5 euro, potrebbe incassare 2,5 milioni di euro, rispetto ai 300mila attuali.

Lo stesso si potrebbe dire per il Piemonte (tra le Regioni in cui vengono imbottigliati più litri di acqua in Italia, pari a 1,7 miliardi di litri all’anno, pur pagando un canone per metro cubo imbottigliato di soli 0,70 euro), dove con un adeguamento del canone alla cifra di 2,5 euro per metro cubo imbottigliato, si passerebbe dagli attuali 1,2 a 4,2 milioni di euro.

Per non parlare di realtà come la Puglia che oggi non chiede nessun corrispettivo per l’imbottigliamento dei circa 92 milioni di litri d’acqua che viene effettuato sul suo territorio e che potrebbe invece far incassare annualmente 230 milioni di euro in più.

“Il regime concessorio per le minerali è ancora ben lontano dall’essere equo”, ha dichiarato Pietro Raitano, direttore di Altreconomia. “Per questo motivo invitiamo tutte le istituzioni a fare finalmente la loro parte e sanare una situazione non più sostenibile. Noi facciamo la nostra: informare i cittadini e tenere alta l’attenzione”.

Per Legambiente e Altreconomia tutte le Regioni italiane inadempienti devono procedere all’immediato adeguamento della normativa regionale ai canoni previsti dalle linee guida nazionali, replicando le esperienze praticate con successo dalle Regioni Veneto e Lazio. La Conferenza delle Regioni, da parte sua, deve recuperare il ritardo nella revisione dei criteri sui canoni definiti nel 2006 - è previsto che lo faccia almeno ogni due anni -, stabilendo (come già fatto per la superficie concessa) non un intervallo ma una cifra di almeno 2,5 € per il metro cubo imbottigliato o emunto e definendo anche un criterio di penalità per chi utilizza le bottiglie di plastica e di premialità per chi attua il vuoto a rendere del vetro.

“Solo così - concludono Legambiente e Altreconomia - potremo lasciarci alle spalle una pagina davvero imbarazzante per il Paese, quella della ‘lotteria dei canoni di concessione per le acque minerali’, e portare risorse aggiuntive agli enti locali sempre più in difficoltà economica, gravando davvero poco sulle casse delle società che imbottigliano questa preziosa risorsa”.

Per maggiori approfondimenti è stato pubblicato il libro “Imbrocchiamola” (Altreconomia edizioni 2010, 72 pagine, 3 euro)

Il dossier completo Il far west dei canoni di concessione sulle acque minerali è disponibile su http://www.legambiente.it/

Fonte: Comunicato stampa - Roma, 22 marzo 2010

lunedì 22 marzo 2010

Giornata Mondiale dell'Acqua 2010


22 marzo 2010

Giornata Mondiale dell'Acqua

A Milano con meno di 30 centesimi al giorno ogni famiglia ha tutta l'acqua di cui ha bisogno, consegnata direttamente a domicilio

Non solo acqua potabile: “Occorre un grande programma di investimenti per risanare il sistema degli scarichi responsabili dell'inquinamento di Lambro, Seveso e Olona”

L'acqua del rubinetto è sicura e controllata, oltre che economica e rispettosa dell'ambiente. A garantirne la qualità sono infatti migliaia di controlli che vengono eseguiti ogni anno su decine di parametri previsti dalla normativa. E' questo il messaggio che Legambiente ha portato ai giardini Indro Montanelli di Milano insieme a Metropolitana Milanese spa, che gestisce il Servizio Idrico Integrato della Città, in occasione della Giornata Mondiale dell'Acqua 2010. Per tutto il giorno Legambiente ha occupato, in nome dell'acqua pubblica, uno spazio gentilmente offerto dal Museo di Storia Naturale di Milano.

E' stata l'occasione per più di 200 famiglie anche per mettere alla prova la propria abilità nel riconoscere le differenze tra l'acqua del rubinetto e quella in bottiglia, grazie ad una attività di degustazione. Inoltre è stato presentato uno speciale kit per l'analisi domestica dell'acqua realizzato dallo ZooPlantLab dell'Università Bicocca e sono stati distribuiti gadget utili al risparmio di acqua nelle abitazioni.

L'iniziativa si inserisce nel progetto “Milano da Bere” che l'Università di Milano Bicocca e Legambiente portano avanti da oltre un anno con il contributo della Regione Lombardia. L'idea è quella di aiutare i cittadini a conoscere meglio l'acqua del rubinetto di casa e promuoverne il consumo, ma anche fornire dati sui costi dell’acqua e sui sistemi di depurazione domestici.

“I servizi e le reti degli acquedotti sono un grande patrimonio delle città, gestito per offrire il massimo della sicurezza agli utenti – dichiara Damiano Di Simine, Presidente di Legambiente Lombardia - a Milano e in gran parte della Lombardia non c'è ragione di diffidare della salubrità dell'acqua di rubinetto, ma tutti devono sapere che mantenere questa qualità richiede grandi investimenti e un continuo lavoro di controllo e manutenzione: l'emergenza Lambro ha poi messo in evidenza che nel prossimo futuro occorrerà fare molto di più, in particolare nel settore della depurazione e dei controlli degli scarichi”.

Che l'acqua italiana sia buona, emerge dai dati diffusi da Legambiente e Federutility, la federazione delle aziende di servizi pubblici locali che operano nel settore idrico, secondo cui sono addirittura 350mila le analisi effettuate in un anno in Provincia di Milano, Pavia e Lodi. Sono numeri che devono dare fiducia ai cittadini circa la sicurezza del consumo di acqua dei nostri rubinetti.


“Il nostro sforzo nel garantire ulteriormente la sicurezza e la qualità dell’acqua di Milano - dichiara Lanfranco Senn, Presidente di Metropolitana Milanese spa - è continuo e costante. Ogni hanno effettuiamo circa 250.000 analisi sempre più approfondite. Uno dei nostri maggiori investimenti riguarda il potenziamento del laboratorio interno dell’acquedotto che, ad esempio, si è recentemente dotato di un gascromatografo di ultima generazione. E’ uno strumento che è in grado di identificare e quantificare in modo specifico ed accurato la presenza di microinquinanti addirittura nell’ordine dei picogrammi. Siamo l’unico Ente Acquedottistico pubblico del Nord Italia ad averlo”.

L'acqua 'alla spina' è economica e conveniente per le famiglie. Su base nazionale, la spesa per il servizio idrico (calcolata da Utilitatis su un consumo di 200 mc, relativamente all’anno 2007) ammonta a 236 euro annui. Milano detiene il primato per la spesa più contenuta, solo 103 € all'anno per un’utenza standard con consumo annuale di 200 mc (duecentomila litri). Questi numeri non devono però giustificare lo spreco: anche se disponibile a buon mercato, l'acqua è risorsa limitata che deve essere risparmiata.

L'acqua di rubinetto rispetta l'ambiente, non produce rifiuti plastici ed è a 'chilometro zero'. Al contrario, l'acqua in bottiglia oltre ad essere molto più costosa, è fonte di pesanti impatti ambientali: solo un terzo delle bottiglie di plastica utilizzate per l'acqua minerale viene riciclato, mentre i restanti due terzi finiscono in discarica o in un inceneritore. Inoltre il consumo annuo di 12 miliardi di litri di acqua imbottigliata comporta, per la sola produzione delle bottiglie, l'utilizzo di 350mila tonnellate di polietilentereftalato (PET), con un consumo di 665 mila tonnellate di petrolio e l'emissione di gas serra di circa 910 mila tonnellate di CO2 equivalente. La fase del trasporto dell'acqua minerale infine influisce non poco sulla qualità dell'aria: solo il 18% del totale di bottiglie in commercio viaggia sui treni, tutto il resto viene movimentato su strada.

Quest'anno la giornata mondiale dell'acqua arriva pochi giorni dopo il drammatico disastro ambientale che ha sconvolto gli ecosistemi dei fiumi Po e Lambro. Motivo in più per Legambiente per accendere i riflettori sull'importanza della risorsa idrica. L'emergenza è finita, adesso è davvero il momento di mettere in campo una risoluta azione di risanamento, che richiede una forte regia per far lavorare assieme enti e aziende che gestiscono i servizi idrici, fognari e depurativi: rimettere a nuovo i nostri fiumi è una sfida che può e deve essere affrontata e vinta, attraverso investimenti che utilizzino i proventi da tariffa per finanziare un grande programma di investimenti sull'intero sistema scolante della metropoli milanese.

Sodastream, leader mondiale nello sviluppo, nella produzione di sistemi per la preparazione domestica di acqua minerale frizzante, é partner tecnico di questa campagna, poiché grazie ai suoi gasatori rivoluziona il mondo dell'acqua minerale portando una vera alternativa, amica dell'ambiente all'interno delle famiglie italiane: da acqua di rubinetto a acqua gasata in pochi secondi, a proprio gusto e piacimento comodamente a casa propria.




mercoledì 17 marzo 2010

Per la prima volta in Italia il Congresso Internazionale sull’utilizzo della Fitodepurazione per il controllo dell’inquinamento delle acque

Il convegno rappresenta la prima vera occasione in Italia in cui vengono ospitati i maggiori studiosi di tutto il mondo nel campo della fitodepurazione; la sezione italiana del Gruppo Specialistico dedicato alla depurazione naturale dall’ International Water Association (la maggiore associazione internazionale nel campo del trattamento delle acque) ha infatti per la prima volta l’onore di organizzare la “Conferenza Internazionale sull’utilizzo di sistemi dei depurazione naturale per il controllo dell’inquinamento delle acque”, evento biennale giunto alla 12a edizione che raccoglierà circa 150 presentazioni orali scelte tra le più interessanti da parte di un nutrito gruppo di esperti provenienti da tutto il mondo.

La sezione italiana IWA sulla fitodepurazione è stata creata nel 1999, a fronte del crescente interesse dimostrato sia dal mondo tecnico-scientifico che amministrativo verso queste tecniche relativamente nuove nel panorama internazionale; ad oggi in Italia si possono contare diverse migliaia di applicazioni sia nel campo domestico e civile, sia in altri campi come ad esempio il post-trattamento di depuratori tecnologici, le attività turistiche, le industrie agroalimentari, il controllo dei nutrienti e dell’inquinamento diffuso, i percolati di discarica, le acque di pioggia, i fanghi di depurazione.

La segreteria scientifica ed organizzativa del convegno è costituita da Iridra Srl, ormai da anni azienda leader in Italia nel campo della progettazione di sistemi di fitodepurazione, assieme a PAN Srl, le Università di Padova, Venezia, Catania, Pisa, Ferrara, Firenze, Bari, gli enti di ricerca ENEA e CNR.

La conferenza, che ha avuto il patrocinio del Ministero dell’Ambiente, si svolgerà a Venezia dal 4 al 9 Ottobre 2010, e per la precisione sulla bella Isola di San Servolo, una perfetta ambientazione per ospitate i più importanti specialisti delle zone umide naturali e costruite. Al momento l’iniziativa ha avuto un ottimo riscontro dato che sono in fase di esame circa 400 abstract di lavori scientifici pervenuti e altrettante sono le pre-iscrizioni. Per informazioni ed iscrizioni è possibile consultare il sito internet www.wetland2010.org o il sito dell’International Water Association www.iwahq.org

La locandina dell'evento

La nuova campagna di Legambiente: "Acqua di rubinetto? Sì grazie!"

Durante il fine settimana del 20 e 21 marzo 2010 si svolgerà la prima edizione di “Acqua di rubinetto? Sì grazie!”: la nuova campagna nazionale di promozione dell’acqua del Sindaco di Legambiente realizzata in collaborazione con Federutility, la federazione delle imprese energetiche e idriche.

In occasione della Giornata mondiale dell'Acqua che si celebra ogni anno il 22 marzo, Legambiente e Federutility organizzano su tutto il territorio nazionale iniziative volte a promuovere l'uso quotidiano dell'acqua di rubinetto.

Gli eventi pubblici previsti offriranno un servizio di informazione dettagliato in grado di togliere qualsiasi dubbio riguardo alla sicurezza e al gusto dell'acqua del Sindaco. Un'occasione importante per ricordare che l'acqua di rubinetto rispetta l'ambiente, arriva direttamente nelle nostre case senza produrre emissioni di CO2 o rifiuti plastici.

Leggi il nuovo dossier sull'acqua del rubinetto.

Appuntamento a Milano il 21 marzo!!

lunedì 15 marzo 2010

Legambiente: “E’ stato un disastro ambientale. Ora non si spenga l'attenzione. E’ urgente il risanamento dei fiumi”


Cinque richieste e un grande obiettivo per il 2015:
Lambro balneabile

“L’Italia si è rivelata impreparata ad affrontare emergenze come quella accaduta sui fiumi Lambro e Po. Solo la buona volontà e la prontezza della Protezione civile locale, dei tecnici della depurazione dell’impianto di Monza e di alcune Province e Comuni hanno consentito che il disastro non avesse conseguenze peggiori”. È questa la considerazione di Legambiente alla conclusione della campagna Operazione Sos Po - Lambro, partita subito dopo il disastro raggiungendo le zone più colpite lungo l’asta dei fiumi.

A conti fatti, da dati ufficiali, sono state sversati 3.000 metri cubi di petrolio, cioè 2.600 tonnellate di idrocarburi di cui 1.800 di gasolio e 800 di oli combustibili. Gli interventi di contenimento hanno fatto sì che 1.250 tonnellate venissero bloccate dal depuratore di Monza, 300 nel piazzale della Lombarda Petroli, 200 fermate lungo il Lambro e 450 arrestate dalla diga di Isola Serafini. Delle 400 tonnellate che mancano all’appello, quantità imprecisate sono evaporate o si sono depositate sulle sponde, e dunque solo una piccola frazione, sicuramente inferiore al 10% dello sversamento, ha raggiunto il delta e da qui l’Adriatico. Il danno è stato comunque molto grave per le acque e l’ecosistema fluviale, e richiede azioni efficaci di risanamento e recupero ambientale.

Al danno da petrolio si è aggiunto quello legato alla messa fuori servizio del grande depuratore di Monza, che serve 700.000 abitanti equivalenti. Gli effetti sono stati limitati grazie alla tempestività degli interventi di ripristino messi in atto dalle maestranze dell’impianto, rientrato in funzione in anticipo sui tempi previsti, e alla modulazione delle portate del fiume attuata dall’ente Parco Regionale della Valle del Lambro, che regola la diga del lago di Pusiano: chiusa durante la discesa del petrolio per rallentare la marea nera, e poi riaperta per diluire i reflui del depuratore.

Per verificare la situazione, Legambiente ha voluto “toccare con mano” ed è partita per un viaggio contro corrente - dal Delta fino a Villasanta - sulle tracce del disastro, per constatare direttamente i fatti e verificare, con i diretti interessati, come è stata affrontata l’emergenza. Per dieci giorni i tecnici di Legambiente, insieme ai circoli e ai comitati regionali di Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, hanno incontrato associazioni, amministratori e semplici cittadini, che vivono sulle sponde di Po e Lambro.

Dagli agricoltori ai pescatori, dagli allevatori di mitili del delta del Po ai dirigenti dei Parchi e agli assessori delle provincie da Rovigo a Piacenza fino a Monza, chiedono con forza che il Lambro non venga escluso dagli interventi di risanamento del Po. Fra le istituzioni incontrate non potevano mancare l’Autorità di Bacino del Po e le Arpa delle tre regioni coinvolte. Durante il viaggio Legambiente ha registrato la rabbia e la speranza dei cittadini che vivono sull’asta fluviale e la preoccupazione per il danno ambientale che questo disastro ha portato. Molte sono state le conferme alle accuse lanciate fin dalla prima ora. Innanzitutto quella relativa alla sottovalutazione della Regione Lombardia sull’entità dello sversamento, sottovalutazione che ha messo in grave difficoltà gli interventi successivi messi in campo nelle regioni Emilia Romagna e Veneto.

A questo si aggiunge la mancanza e l’inadeguatezza dei controlli delle industrie a rischio di incidenti rilevanti come la Lombarda Petroli: un fatto scandaloso, considerato che nella sola Lombardia le aziende a rischio sono ben 287. Appare ormai chiaro, infatti, che Lombarda Petroli, pur essendo riuscita da un anno ad uscire dal novero delle aziende a rischio, deteneva quantitativi di idrocarburi superiori al consentito, in condizioni di grave carenza di sistemi di sicurezza. Un quadro sconcertante, derivante anche dalla perdurante sovrapposizione di ruoli (le ispezioni al sito di Lombarda Petroli, a quanto pare superate con esito positivo, sono infatti una competenza del Ministero dell’Ambiente), che alla fine si è trasformata in tragedia ambientale.

Inoltre tutti i rappresentanti istituzionali incontrati nel corso del viaggio hanno lamentato la mancanza di un coordinamento nazionale per l’emergenza fin dall’inizio del disastro. Il ritardo con cui le Regioni hanno chiesto lo stato d’emergenza nazionale ha determinato disordine e conflitti nell’organizzazione degli interventi, senza che vi fosse chiarezza sulla catena di comando.

Resta tutta da chiarire la dinamica degli eventi che hanno impedito di fermare la marea nera agli sbarramenti di Cerro al Lambro e Melegnano (Mi): in quel punto sono transitate circa mille tonnellate di idrocarburi, una quantità certo enorme, ma corrispondenti alla capacità di 40-50 autocisterne, mezzi che non sarebbe stato impossibile predisporre e gestire nell’arco delle molte ore che la marea nera ha impiegato per raggiungere i due centri al confine del territorio milanese.

Un plauso invece va agli enti brianzoli e a quelli piacentini: con sangue freddo e decisioni giuste, gli interventi dei dirigenti della provincia monzese, del Parco della Valle del Lambro e dell’Azienda che gestisce il depuratore sono stati sicuramente i più efficaci e tempestivi, mentre ai Sindaci di Piacenza e Monticelli, insieme al Presidente della Provincia e all'Autorità di Bacino, deve essere riconosciuta l'azione risolutiva, resa possibile dalla richiesta di intervento della Protezione Civile Nazionale in un momento di grave mancanza di coordinamento.

Alla fine del lungo viaggio di Legambiente quindi, bisogna tornare a parlare di bonifica dei siti in cui sono ancora presenti idrocarburi, di un’adeguata azione di monitoraggio delle acque, ma anche e soprattutto di risanamento di quella spina nel fianco che, da sempre, il Lambro costituisce per il Po, gravemente inquinato anche in condizioni ordinarie.

Sono cinque le richieste di Legambiente al riguardo:

- procedere il più rapidamente possibile (e quindi prima della prossima piena) all’individuazione dei siti che richiedono un intervento di rimozione degli idrocarburi lungo le sponde e sui materiali galleggianti;

- rendere immediatamente disponibili i fondi promessi da tempo per realizzare il progetto speciale “Valle del Fiume Po”: si tratta di 180 milioni di euro, richiesti da tutte le province rivierasche attraverso un piano d’azione congiunto per la riqualificazione e la rinaturazione del più grande fiume italiano, ma che l’attuale Governo ha ripetutamente messo in discussione;

- predisporre specifici piani di coordinamento interregionali ed interprovinciali per incidenti rilevanti di tipo industriale sul Po ed affluenti, con la creazione di nuclei di intervento specificatamente preparati e dotati di materiale idoneo ad intervenire in casi simili.

- avviare un sistematico programma di controlli sugli scarichi industriali nel bacino del Lambro e del Po, per reprimere i ricorrenti fenomeni di illegalità;

- fare tesoro dell’esperienza: il disastro del 23 febbraio deve servire da monito per tutti: il Lambro e il Po devono rispettare le scadenze che l’Europa impone per il risanamento di tutti i fiumi europei. Entro il 2015 il Lambro deve avvicinarsi il più possibile alla balneabilità, obiettivo che oggi appare lontanissimo. Proponiamo a tutti i comuni rivieraschi di approvare una delibera per far diventare il 23 febbraio la “giornata del Lambro”, in occasione della quale presentare gli avanzamenti fatti in direzione del risanamento fluviale: scarichi collettati, depuratori realizzati, interventi per migliorare la qualità ambientale del bacino del Lambro.

Tutto il resoconto dell’Operazione Sos Po - Lambro è disponibile sul sito www.legambiente.it

Fonte: Comunicato Stampa legambiente 15-03-2010

martedì 9 marzo 2010

Lambro-Po: chiusa la fase di emergenza, parte la bonifica



Recurate 750 ton. emulsioni, 500 di idrocarburi, 315 di ramaglie
08 marzo, 19:24(ANSA) - BOLOGNA, 8 MAR -

E' chiusa l'emergenza per gli idrocarburi sversati nel Lambro e confluiti nel Po. Prosegue per un mese il monitoraggio delle acque, in vista della bonifica. Lo sottolinea la Regione Emilia-Romagna. Recuperate dal Po 750 tonnellate di emulsioni, 500 di idrocarburi e morchie, 315 di ramaglie contaminate. Prevista una nuova ordinanza nazionale per quanto anticipato subito dalla Regione (1,5 milioni) e per la bonifica dei due fiumi. Salvi gli acquedotti ferraresi e gli allevamenti di mitili, il presidente Errani ringrazia i tecnici, volontari, funzionari civili e militari intervenuti.

Fonte: ANSA

giovedì 4 marzo 2010

Operazione SOS Po-Lambro

striscione salviamo il fiume

I tecnici di Legambiente sono in viaggio lungo il Lambro per verificare lo stato di salute delle rive e degli ecosistemi, per raccogliere le testimonianze dirette dei cittadini, per scattare una fotografia reale della situazione. Firma l'appello per chiedere che ci sia restituito il nostro fiume curato e pulito!

Dopo il disastro ecologico che ha colpito il Lambro il 23 febbraio scorso, non ci accontenteremo di resoconti rassicuranti e promesse pre-elettorali di fondi per la bonifica del bacino, vogliamo verificare di persona e monitorare direttamente lo stato della situazione. I tecnici di Legambiente sono partiti per l'Operazione SOS Po-Lambro, viaggeranno per circa 400 chilometri dal Delta del Po fino a Monza, per verificare direttamente lo stato degli ecosistemi e delle rive, per raccogliere le testimonianze dirette di chi vive sui fiumi colpiti dal disastro, su quanti lavorano lungo il corso del Po, gli allevatori di cozze e molluschi, gli agricoltori, i pescatori, ma anche le istituzioni locali, il Parco regionale del Delta del Po, l’Autorità del bacino e gli enti preposti ai controlli.

L’impegno è di tornare sugli stessi luoghi nei prossimi mesi e vedere se alle promesse avranno fatto seguito i fatti. Segui il diario di bordo.

Firmate l'appello per chiedere che ci sia restituito il nostro fiume curato e pulito!

Abbracciamo il Lambro

Noi cittadini vogliamo esprimere il nostro dolore e la nostra rabbia per la selvaggia aggressione al fiume Lambro, alle sue sponde, al fragile ecosistema che faticosamente stava cercando di recuperare la sua vitalità dopo decenni di inquinamento.

La catastrofe ecologica di questi giorni rischia di vanificare l’opera di risanamento necessaria a riportare la vita nel fiume più inquinato d'Italia.
Noi non ci rassegnamo e chiediamo una risposta rapida e determinata alle istituzioni.
Per questo lanciamo un appello a tutte le forze sane del Paese, agli imprenditori, alle associazioni, agli amministratori locali e regionali, al Governo, al mondo della politica, della cultura, dello spettacolo e ai semplici cittadini, perché ciascuno si impegni in una straordinaria opera di attenzione e risanamento del fiume e del suo territorio.
C’è bisogno dello sforzo congiunto di tutta la comunità, di un grande abbraccio che stringa forte il nostro fiume, lo liberi dai veleni, gli restituisca la vita e gli faccia sentire l’affetto di chi lo ama.

clicca qui per firmare l'appello

Le associazioni che hanno aderito

Legambiente, ACLI Anni Verdi Ambiente, ACLI Milano, ACRA, AIAB Lombardia, Altreconomia, Amici del Parco Trotter, ARCI Milano, Monza e Brianza, ARCI Lombardia, Centro Ambrosiano di Solidarietà, CGIL Lombardia, CIA Milano Lodi Monza e Brianza, CISL Milano, Coldiretti Lombardia, Fa' la cosa giusta, FAI Fondo Ambiente Italiano, FIC Federazione Italiana Canottaggio, Fondazione Casa della Carità, ISDE-Medici per l'Ambiente, ISTVAP Istituto per la tutela e la valorizzazione dell’Agricoltura Periurbana, Italia Nostra Milano, LIPU, Orchestra di Via Padova, Slow Food Milano, Slow Food Italia, Terre di Mezzo, WWF Lombardia

e inoltre

Ermanno Olmi, Paolo Rumiz, Giulia Maria Mozzoni Crespi, Giulio Cavalli, Ermete Realacci, Maria Berrini, Maurizio Baruffi, Enrico Fedrighini, Francesco Laforgia, Carlo Montalbetti, Stefano Maullu.

martedì 2 marzo 2010

Cento milioni per ripulire il Lambro


L’ente di gestione: "Il fondo del fiume è pieno di petrolio, andrebbe dragato". Già al lavoro 300 uomini per ripulire le sponde


Ora Il fondo del Lambro è ricoperto di idrocarburi pesanti, e per dragarlo serviranno 100 milioni di euro. È la stima del Dipartimento di riqualificazione fluviale, l’ente regionale che da anni gestisce la rinascita del fiume.

«Attendiamo gli esiti delle analisi chimiche - dice il presidente Daniele Giuffrè - se la concentrazione di inquinanti sarà elevata, bisognerà smuovere il fondo». I campioni di fango prelevati dagli operatori sono allo studio dell’Arpa di Monza, e i risultati si avranno mercoledì.

Ma Dante Spinelli, capo dello staff tecnico del Parco della Valle del Lambro, mette in guardia: «Sono morti molluschi e larve - dice - non è un buon segnale». Sul costo dell’intervento, Giuffrè spiega che «la stima è indicativa e per stabilire l’importo servono studi approfonditi. Speriamo che il dragaggio non sia l’unica soluzione possibile, vista la complessità dell’operazione».

Se si dovrà smuovere il fango, sarà infatti necessario mettere il Lambro in secca, un tratto per volta, deviando l’acqua su canali laterali. Un’opera quasi faraonica.

Se per la bonifica servirà tempo, l’urgenza ora è evitare che le acque del fiume possano infettare i campi. Confagricoltura parla di «rischio di danni ingentissimi» e informa che fra due settimane sarà necessario irrigare i terreni per la semina del mais e del grano. Non potendo attingere al fiume, si pensa di prelevare l’a cqua dal canale Muzza.

Un altro problema riguarda la diga di Pusiano, a monte del depuratore di San Rocco a Monza dove sono ancora intrappolate migliaia di tonnellate di petrolio fuoriuscite martedì scorso dalle cisterne dell’azienda Lombarda Petroli di Villasanta. Mercoledì la diga è stata chiusa, per abbassare il livello del Lambro, ma fra una settimana andrà aperta per evitare che il lago tracimi. La conseguenza sarà una “piena artificiale” del fiume.

Una prospettiva allarmante, dal momento che, oltre ai residui di petrolio, il Lambro porta a valle le acque fognarie non trattate che escono dal depuratore monzese ancora in tilt. Brianzacque stima di non potere fare ripartire il depuratore prima di 12 giorni, cioè cinque giorni dopo che la diga di Pusiano sarà stata riaperta.

Sul corso del Lambro sono al lavoro 300 fra volontari e uomini della Protezione civile regionale, che fanno capo all’assessorato guidato da Stefano Maullu. Da ieri lavorano alla pulizia delle sponde: i primi interventi sono stati compiuti a Parco Lambro, a San Donato e a San Giuliano Milanese, nell’ambito di un più ampio piano della Regione di salvaguardia degli argini.

Ieri, intanto, a Parco Lambro si sono riunite le associazioni ambientaliste guidate da Legambiente, che hanno stretto il fiume in un simbolico abbraccio, esponendo lo striscione «Vergogna», accusando le istituzioni di avere «abbandonato per anni il fiume e non avere gestito l’emergenza».

Sul fronte della polemica si registra anche l’attacco del candidato presidente della Regione del Pd, Filippo Penati, al governatore Roberto Formigoni: «Il piano di emergenza - dice - è scattato con 48 ore di ritardo». Se il Pirellone si difende sostenendo la tempestività degli interventi, il capo della Protezione civile Guido Bertolaso taglia corto: «Se ci sono stati errori nei soccorsi - dice - lo accerterà la magistratura».

Fonte: Repubblica articolo di Franco Vanni - 28 febbraio 2010

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