giovedì 3 dicembre 2009

Lambro - il video

Il video del viaggio fatto da Io, Donna e Legambiente sul fiume Lambro

Fonte: Corriere.it - Marzio Myan - 3 dicembre 2009

Allarme Lambro: Milano salvi il suo fiume

È uno dei corsi d’acqua più inquinati al mondo. «Io donna» l’ha perlustrato con Legambiente


Scendendo il Po a motore spento, spinti dalla corrente, sul barchino dei pescatori di pesce siluro, si ha l’impressione che, all’approssimarsi della foce del Lambro, sul lato sinistro, all’altezza di Orio Litta nel Lodigiano, il Grande fiume provi ribrezzo, anzi terrore. Scarta sulla destra, come se sentisse odore di morte. Quasi sapesse che lo sta per colpire uno dei fiumi più inquinati del mondo, 40 metri cubi di veleno al secondo, i due terzi degli scarichi civili e industriali della Lombardia, l’equivalente del liquame prodotto da undici milioni di abitanti.

Solo qualche attimo prima, nella luce tersa del tramonto autunnale, il Po sembra trasparente e ancora pervaso dell’odore muschiato delle valli - sullo sfondo i pioppi che fanno la guardia alla via Francigena: poi arriva il lento e tremendo impatto con la brodaglia grigiastra, bluastra, livida e fetida. Ma non è questione estetica: il Lambro inietta nel Po - e quindi nell’Adriatico - il 60 per cento di tutto l’azoto in arrivo dagli scarichi civili, il 40 per cento di tutti i metalli tossici come piombo e cadmio, il 20 per cento di rame e zinco, il 15 per cento di cromo nichel e arsenico. Un intruglio che impiega una ventina di chilometri prima d’essere assorbito; dicono che dall’alto si vede un pennacchio scuro dipanarsi sulla riva sinistra, dallo sversamento giù fino a Piacenza.

Orio Litta: è qui che è terminato il viaggio di Io donna (in collaborazione con Legambiente) lungo i 130 chilometri del Lambro, il fiume morto che attraversa la terra più prospera d’Italia e soprattutto Milano, la città dell’Expo 2015 dedicato all’alimentazione, allo sviluppo sostenibile e, appunto, all’acqua. Secondo Carlo Petrini, il visionario presidente di Slow Food, l’Expo avrà successo «solo se sapremo risanare il Lambro, simbolo del degrado ambientale ed etico italiano, e farne la nostra Tour Eiffel». Eppure Petrini la sa la storia. Era il 1975 quando Giorgio Ruffolo stanziò cinquemila miliardi per il risanamento del Lambro. «Tra due anni verrò a mangiare la trote, ci disse il ministro» ricorda Peppino Pisati, vicesindaco di Sant’Angelo Lodigiano, il comune delle prime proteste. Era sempre il 1973 quando il sindaco di Milano Aldo Aniasi insediò la prima commissione di esperti per il depuratore. Decenni buttati, miliardi di lire divorati, spartizione di appalti a suon di tangenti, gente in galera;

fino ai giorni nostri con milioni di euro pagati in multe per violazione delle direttive europee... Nel frattempo il Tamigi diventava balneabile. Il Ruhr addirittura uno dei più pescosi della Germania. Solo da un lustro Milano ha tre depuratori, ma, nonostante accenni di miglioramento, il Lambro resta il Lambro, con il suo 53 per cento costituito da escrementi (che in estate può diventare l’80 per cento). «Si può fare, non solo perché ce l’impone l’Unione europea» dice Petrini. «Vengo dal Piemonte dove hanno resuscitato la Bormida, quella dell’Acna di Cengio per intenderci. Gli ecosistemi si ripopolano. Bene punire le tante industrie e fabbrichette che non depurano, bene la nuova tecnologia degli impianti; ma non basta, bisogna assegnare pezzi di fiume alla responsabilità delle comunità locali. Se Milano e l’Italia perdono questa opportunità è finita».

Siamo partiti ovviamente da monte. Località Piano Rancio, appena sopra il Ghisallo, nel Comasco. Quasi mille metri. Dopo un’inerpicata tra abeti rossi e larici, tra due massi erratici vedi sgorgare la classica sorgente del classico fiume. Solo che quell’insegna in pietra, “Qui nasce il fiume Lambro”, a viaggio compiuto, sembra una lapide, l’annuncio di una vita effimera. Il tempo di osservarlo percorrere con sventatezza la Valassina in compagnia del martin pescatore, imboccare la valle di Erba tra i capannoni e le serre, che a Merone è già senza pesci (escluso il bionico cavedano, pescato e mangiato dagli extracomunitari) e a Monza non ti viene più di chiamarlo fiume, ma solo il Lambro, sinonimo di fogna a cielo aperto.

Giunto a San Maurizio, all’ombra delle colline artificiali fatte con le scorie della Falck, lo scarico del depuratore ne raddoppia la portata e il mondo a quel punto gli mostra il lato B: cominciano le favelas metropolitane. «Il Lambro è ormai vissuto come un problema, non come una risorsa» dice Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia, la nostra guida: «L’ultima rilevazione dell’Arpa regionale indica che, grazie ai depuratori, lo stato ecologico generale fa timidi passi, ma i dati sulla contaminazione fecale mostrano le falle di un sistema di depuratori inadeguato, come a Monza». L’impresa è eroica: nell’imbuto del Lambro, che comprende anche il Seveso e l’Olona e quindi il Varesotto, convogliano scarichi biologici e industriali che neanche il Danubio ce la farebbe. «E ci sono almeno sette-otto milioni di abitanti equivalenti “non trattati”» aggiunge Damiano: «Che cioè sversano non collegati ai depuratori. Bisogna recuperarli. E poi si deve ripristinare il più possibile il sistema idrico naturale, devastato dalla cementificazione; costruire una rete di parchi e piste ciclabili per riconsegnare al Lambro dignità di fiume. Milano diventerebbe una città auropea».

Parco Lambro è nato prima del Grande Avvelenamento. Offre ancora scorci alla Monet, basta turarsi il naso e lavorare di fotoshop alla vista di schiume inquietanti e grasse pantegane. Lungo il corso d’acqua niente mamme, bambini o cani. Ultimamente, forse sazi delle discariche, galleggiano centinaia di gabbiani. Quest’estate sono morte in un sol giorno venti anatre: botulino, ci dicono all’Istuto zooprofilattico di Milano.

E pensare che le verze e le cicorie degli orti abusivi lungo le sponde vengono irrigati con quest’acqua. Che gusto avranno?

Alla Cascina Santa Brera, Melegnano, la signora Irene di Carpagna racconta che tre anni fa ha spigolato del mais raccolto da contadini a ridosso degli argini: «Era per le galline. Sono tutte morte insette giorni. Forse una coincidenza, ma quest’acqua mi fa paura». Irene, che coltiva verdura biologica ben distante dal Lambro, cinque anni fa ha piantumato 12 mila alberi sui terreni golinari di sua proprietà: «Sono già alti quindici metri...».

Quella dell’irrigazione dei campi nel Basso Lambro è questione misteriosa: a Sant’Angelo Lodigiano e a San Colombano assicurano che è prassi generale.

«Al Parco delle Carrettine c’è un pozzo riempito con le pompe che aspirano dal Lambro, quell’acqua è piena di salmonella» dice Pietro Domenichelli, agronomo in pensione di San Colombano. L’assessore regionale ai Servizi di pubblica utilità Massimo Buscemi replica che sono «fenomeni residuali». «La verità è che del Lambro si sono stancati tutti, anche gli ambientalisti. C’è rassegnazione» taglia corto Pisati, vicesindaco di Sant’Angelo, il comune che è alla confluenza del Lambro vero e proprio con quello cosiddetto Meridionale, che dopo Milano raccoglie le acque di Seveso e Olona. Qui ogni estate ci sono ricoveri per malori causati dall’effetto aerosol al balzo in zona San Rocco. «Il sabato puzza di più, perché a Milano e in Brianza, senza paura di controlli, le fabbriche aprono le paratie. Se c’è piena poi viene giù di tutto, anche maiali morti. È una bomba».


Il senso di impotenza arriva anche dagli esempi positivi come quello di Cerro al Lambro, una bonifica che ha ripulito 110 mila tonnellate di melma acida scaricate abusivamente in trent’anni in una golena. «La bonifica dei terreni contaminati è possibile » dice il direttore dei lavori, l’ingegner Claudio Tedesi «ma il Lambro diventerà un fiume solo quando si puliranno i sedimenti del fondo, ben più pericolosi dei terreni, lì ci sono decenni di piombo, animine cancerogene... Chi si prende la responsabilità di toccare quella roba?». E l’appello di Petrini, allora? «La Regione lo raccoglie» garantisce l’asserrore Buscemi: «Abbiamo siglato il Contratto di fiume per il Lambro, un tavolo con 50 soggetti, enti pubblici, associazioni. Entro i primi mesi del 2010 verrà stimata la spesa, si procederà alle gare d’appalto e per il 2011 garantiamo l’inizio dei lavori». Speriamo che non sia una promessa stile le trote di Giorgio Ruffolo.

Fonte: Corriere.it - Marzio G. Mian - 3 dicembre 2009

martedì 24 novembre 2009

Milano da Bere - Festa di condominio in Via Fogazzaro 14

Che strano. Per una volta, forse la prima, non ho visto condomini litigare su canne fumarie, spese o spazzatura, ma darsi una mano e progettare, nel piccolo giardino a disposizione una bella festa. Li ho visti cucinare leccornie, chiacchierare, conoscersi e dibattere sull'acqua del palazzo. E' stata infatti l'Acqua ad unirci il 21 novembre in via Fogazzaro, 14.

Ma raccontiamo l'antefatto. Da quest'anno Legambiente e Università Bicocca lavorano congiuntamente, con il contributo di Regione Lombardia, al progetto Milano e Provincia da Bere, creato per diffondere una nuova cultura della risorsa acqua. All'interno del progetto sono previste diverse azioni: creazione di un kit didattico per permettere l'analisi dell'acqua, lezioni nelle classi e banchetti e stand di diffusione di materiali informativi sull'acqua, come i frangigetto, i kit per le famiglie e le Piccole Guide al consumo critico dell'acqua di Altreconomia.

Perchè dunque non creare una bella festa di condominio e rendere più piacevole questo messaggio? Ed ecco il motivo della festa al numero 14. Ma la vera sorpresa è la grande partecipazione di tutti: sia degli abitanti del palazzo che hanno portato torte dolci e salate, focaccine, gnocchi fritti, patatine, polentine e gorgonzola, cioccolata calda e vin brulè (non nell'ordine presentato!); sia dei passanti e dei curiosi dei condomini vicini che della festa sono venuti a conoscenza per passaparola. E non solo adulti, ma tanti bambini che hanno aiutato nell'allestimento del “set” gonfiando dozzine di palloncini e animato il cortile con i loro giochi.

Oltre al mangiare, come già scritto, Legambiente ha diffuso, dopo averne fatto una prova sul posto, i kit dell'Università, assieme ai filtri frangigetto, alle Piccole Guide e ad altri materiali informativi utili nei condomini. E non ci siamo fatti mancare nemmeno la celebrazione della Festa dell'Albero! Quattro giovani piante di alloro sono state messe a dimora dai bambini che se ne prenderanno cura. Insomma, cosa volere di più?


Colgo questo spazio per ringraziare tutto il condominio di Fogazzaro 14 e tutti i suoi abitanti per il grande impegno profuso.

lunedì 23 novembre 2009

Il kit di analisi creato da Università Bicocca

All'interno del progetto Milano e Provincia da Bere, l'Università Bicocca di Milano ha creato un semplice kid didattico per analizzare l'acqua del rubinetto. Questo kit nasce con uno scopo didattico, ovvero come strumento da usare nelle lezioni che Legambiente tiene nelle scuole per parlare di acqua. Quest'anno verrà distribuito nel corso di eventi, stand e manifestazioni, anche alle famiglie.

Anche una trasmissione di Rai Tre, "Cifre in chiaro" del 30 ottobre (intorno al settimo minuto) ne ha parlato.

per info:
  1. - Sito ZooPlantLab dell’Università di Milano-Bicocca: www.zooplantlab.btbt.unimib.it
  2. - Sito Legambiente: www.legambiente.org
  3. - blog Chidiacquaferisce: www.chidiacquaferisce.blogspot.com

giovedì 19 novembre 2009

CAMPAGNA NAZIONALE “SALVA L'ACQUA” - IL GOVERNO PRIVATIZZA L’ ACQUA !

Si tratta della definitiva consegna al mercato di un diritto umano universale

IMPEDIAMOLO !

Con un decreto del 10 settembre scorso il Governo regala l’acqua ai privati: sottrae ai cittadini l’acqua potabile, il bene più prezioso, per consegnarlo, a partire dal 2011, agli interessi delle grandi multinazionali e farne un nuovo business per i privati.

Oltre 400.000 cittadini hanno sottoscritto una legge d’iniziativa popolare per l’acqua pubblica, che riconosce il diritto all’acqua ma la proposta giace da due anni nei cassetti delle commissioni parlamentari.

Entro il prossimo 24 novembre, il decreto che privatizza l’acqua potrebbe diventare legge.

Si tratta della definitiva mercificazione di un bene essenziale alla vita

Si tratta di un provvedimento inaccettabile!

Pertanto, noi firmatari del presente Appello chiediamo:

- A tutti i Parlamentari il ritiro delle nuove norme che privatizzano l'acqua e di escludere il servizio idrico dai servizi pubblici locali di rilevanza economica riconoscendo l’autonomia di scelta dei modelli di affidamento da parte degli ATO ed Enti locali.

- Alle forze politiche di sostenere le proposte del Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua e in particolare la rapida approvazione della legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione del servizio idrico.

- Ai Presidenti delle Regioni di presentare ricorso di costituzionalità contro l’Art.15 del D.L. 135/09 a tutela della autonomia degli Enti Locali sulla base del principio di sussidiarietà riconosciuto dalla Costituzione.

- Agli Eletti nei Consigli Comunali di prendere posizione contro l’Art.15 del D.L 135/09 e di assumere l’impegno ad inserire nello Statuto Comunale il riconoscimento dell’acqua come bene comune e diritto umano universale e dichiarando il servizio idrico privo di rilevanza economica.

- Ai Cittadini di protestare contro questo Decreto del Governo facendo pressioni sui parlamentari e raccogliendo adesioni a sostegno del presente impegno.

Il presente Appello con le firme raccolte sarà inviato anche al Presidente della Repubblica
e ai Presidenti delle due Camere

L’acqua è un diritto umano universale e un bene comune da conservare per le future generazioni.

Il servizio idrico deve essere gestito da enti di diritto pubblico con la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori.

Salvare l’acqua è una questione di democrazia

Ottobre 2009 – Appello a cura
Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua

Segreteria Operativa Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
e-mail: segreteria@acquabenecomune.org
Sito web: www.acquabenecomune.org

Se vuoi impegnarti e sottoscrivere vai alla petizione

Legambiente “L’acqua è un bene comune”



Legambiente “L’acqua è un bene comune”

“L'acqua è un bene comune, il suo utilizzo deve rispondere a criteri di utilità pubblica. Obbligare la privatizzazione del servizio idrico, pertanto, vuol dire intraprendere la strada sbagliata. La maggior parte delle esperienze di privatizzazione di questo servizio, infatti, non hanno portato al miglioramento della qualità della risorsa, né alla diminuzione dei consumi e dei costi per i cittadini”. Così Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente ha commentato la fiducia del Governo sul decreto Salva-infrazioni che contiene anche la riforma dei servizi pubblici locali, compresa la liberalizzazione di quello idrico.

“Questa legge costituisce l’ennesimo attacco agli enti locali, Regioni e Comuni - ha aggiunto Cogliati Dezza – che saranno privati della possibilità di amministrare il proprio territorio, anche nella gestione di un bene primario come l’acqua, aprendo la strada ad una speculazione privata soprattutto a discapito dei cittadini. Una decisione come questa, inoltre, non tiene conto delle buone esperienze di gestione pubblica, mettendo tutti sullo stesso piano con gravi conseguenze sulla qualità del servizio offerto ai cittadini. Non si capisce, infatti, perché aziende pubbliche che, ancora oggi, garantiscono la qualità del servizio e tariffe contenute debbano ora essere obbligate a trasferire quote importanti dell’azienda a privati o addirittura a riaffidare la gestione ad altri”.

“Proseguire sulla strada della privatizzazione vuol dire che entro i prossimi quindici anni il 65% del servizio idrico dell’Europa e del Nord America sarà gestito da sole tre multinazionali. Gli interventi normativi che occorrono al nostro Paese per ripristinare su tutto il territorio nazionale un servizio idrico efficiente ed evitare speculazioni economiche e disservizi sono altri– ha concluso Cogliati Dezza -. Occorre, infatti, trovare forme innovative per rendere protagoniste le comunità locali nella partecipazione alla gestione dei servizi idrici, per vigilare sull’applicazione di un esercizio trasparente ed equo, dal punto di vista sociale, ambientale ed economico. Su questi aspetti sarebbe fondamentale intraprendere scelte distinte e puntuali in base alle esigenze territoriali e non generiche, come quelle proposte dal testo di legge in questione, per evitare casi di cattiva gestione o la prevalenza di logiche di profitto a discapito della qualità del servizio e della risorsa, come le perdite idriche e la mancanza di investimenti”.

L’ufficio stampa Legambiente 06 86268353-99 - 76 - 60

Fonte: Legambiente Roma, 17 novembre 2009

giovedì 12 novembre 2009

SALVA-INFRAZIONI: DELLA SETA, "MAGGIORANZA RENDE OBBLIGATORIA GESTIONE PRIVATA ACQUA"

"Oggi in Senato con il voto del Pdl e della Lega viene resa obbligatoria la gestione dell'acqua: una scelta che va contro l'interesse dei cittadini e che non è dettata, come falsamente sostengono governo e maggioranza, da norme europee. Una scelta tanto più grave nel caso del partito di Bossi e Calderoli, che in Padania coi suoi sindaci si batte per l'acqua bene pubblico e a Roma prende decisioni ultraliberiste.". Lo dice il senatore Roberto Della Seta, capogruppo del Pd nella commissione Ambiente, in merito all'approvazione in senato del decreto 'salva-infrazioni' che contiene norme sui servizi pubblici locali.
"L'approvazione di un emendamento del Pd a firma Bubbico - prosegue Della Seta - mette dei paletti alla privatizzazione, garantendo il rispetto della proprietà pubblica dell'acqua, come stabiliscono i principi comunitari. Nonostante questo, tuttavia, le norme approvate oggi dal Senato sono molto gravi.
L'acqua è un bene comune - prosegue Roberto Della Seta - non è una merce e in base alla Costituzione la titolarità della sua gestione è in capo alle Regioni e agli enti locali. Prevedere non la possibilità, ma l'obbligo entro 1 anno, di affidare a privati la gestione dei servizi pubblici vuol dire espropriare Regioni e Comuni del diritto-dovere di amministrare l'uso dell'acqua nell'interesse delle persone e delle comunità, e apre la strada a un monopolio privato dell'acqua nelle mani di 3 o 4 multinazionali".

Fonte: Roberto Della Seta Roma, 4 novembre 2009

mercoledì 11 novembre 2009

Acqua, tra privatizzazione e cattiva informazione


Il Senato ha dato una spallata all'acqua pubblica. Con l'approvazione dell'articolo 15 del decreto legge numero 135 la via della privatizzazione è spianata. Nelle prossime settimane il testo passerà alla Camera, poi arrivaranno i decreti attuativi, promessi dal governo entro il 31 dicembre 2009: allora l'acqua sarà davvero una merce.


Il voto di Palazzo Madama, nel pomeriggio di mercoledì 4 novembre, ha portato a un'inedita attenzione dei grandi media al tema delle mercificazione delle risorse idriche. Tra i commi dell'articolo 15, che inserisce la privatizzazione dei servizi pubblici locali nell'ambito di un provvedimento “recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”, è facile perdersi.
Proviamo, perciò, a ricostruire i principali cambiamenti rispetto alla legislazione attuale.
L'articolo 15, intanto, rende obbligatorio il ricorso alla gare per la concessione della gestione dei servizi pubblici locali (oltre all'acqua, ci sono anche rifiuti e trasporto pubblico locale). L’unica alternativa possibile è l’affidamento a società per azioni “miste” tra pubblico e privato, ma la legge impone un tetto massimo del 30% alla partecipazione degli enti locali al capitale societario.
Un altro comma dell'articolo 15, spezza le gambe a tutte le gestioni in house (ovvero gli affidamenti diretti a società per azioni a totale controllo pubblico), 58 ad oggi in Italia. Dovranno cessare per decreto alla data del 31 dicembre 2011.
Fin qui il testo di legge, che incontra il sostegno di maggioranza e opposizione. Poche le voci fuori dal coro, come quella del senatore del Pd Luigi Zanda, che nel suo intervento in aula ha motivato così la sua contrarietà al provvedimento: “Ritengo grave un principio generale come quello che questa disposizione introduce nel nostro ordinamento, ossia la liberalizzazione e sostanziale privatizzazione della gestione dell'acqua in assenza di un sistema di garanzia indipendente e adeguato. Presidente, il nostro Paese ha subito gravi conseguenze per privatizzazioni e liberalizzazioni fatte in modo affrettato e gestite in modo quanto meno discutibile. Paghiamo ancora la privatizzazione delle autostrade con aumenti di tariffe assolutamente sproporzionati e assenza totale di investimenti”.
Parole e tesi espresse in modo molto chiaro, come chiari sono quelli del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, convinti che la gestione del servizio idrico integrato non possa essere privatizzata sono anche. “Contro l'articolo 15”, il Forum ha promosso una mobilitazione nazionale e territoriale, il cui slogan è “Salviamo l’acqua dal mercato”: “Consideriamo questa approvazione illegittima ed incostituzionale -hanno spiegato in un comunicato stampa-, in quanto si espropriano i cittadini di un bene comune e 'diritto umano universale'”. E per questo hanno rilanciato una settimana di iniziative (l’elenco è sul sito www.acquabenecomune.org) che coinvolgerà oltre mille comitati locali e culminerà in un presidio davanti al Parlamento, previsto per giovedì 12 novembre.
L'analisi dell'articolo 15 e delle sue possibili conseguenze è, abbiamo visto, assai complesso. Chi sentisse il bisogno di orientarsi non può farlo di certo leggendo i giornali. Quelli mainstream fanno a gara per “mistificare” l'approvata mercificazione dell'acqua. Così, la Repubblica del 5 novembre dedica una pagina intera alla “Guerra dell'acqua in Parlamento”, arrivando a parlare di “compromesso al Senato: gestione privata, proprietà pubblica”. Paolo Rumiz sfida l'intelligenza media del cittadino italiano, che sa -o dovrebbe sapere- che l'acqua delle falde, delle sorgenti, dei fiumi e dei pozzi (quella che poi beviamo) è un bene demaniale, e perciò inalienabile. Il “sofferto” emendamento del senatore Filippo Bubbico (Pd), che secondo il giornalista de la Repubblica dovrebbe difendere l'acqua pubblica, è stato votato da maggioranza e opposizione perché è una bufala, che non dice nulle di nuovo né frena in alcun modo il processo di privatizzazione. La disinformazione la fa da padrone anche sulle colonne de Il Sole-24 Ore: “Un attuale monopolista pubblico -scrive Giorgio Santilli-, che ha avuto l'affidamento senza gara e senza nessun confronto su costi e qualità dei servizi, potrà partecipare alla gara per il servizio futuro”. Quella descritta da Santilli è l'unica “concessione” fatta dal legislatore alle spa in house: i soggetti attualmente affidatari possono tuttavia partecipare alla prima gara di affidamento del servizio sul territorio in cui attualmente operano. Quando parla di gestori che hanno ricevuto l'affidamento senza gara, il giornalista de Il Sole dovrebbe però ricordarsi (e ricordare ai lettori) che il riferimento ai soggetti che hanno avuto l'affidamento del servizio senza gara è valido, in larga parte, per le ex municipalizzate oggi spa quotate in Borsa. Tanto che la legge dispone, nello specifico, la salvaguardia degli affidamenti diretti per le società quotate in Borsa al 1° ottobre 2003. Si chiamino Acea, o Hera, sono i soggetti industriali che (insieme ad altri come Iride, A2a, Enia, Acegas, etc.) nei prossimi anni saranno protagonisti dello shopping degli acquedotti italiani. E gestiranno gli acquedotti meglio del pubblico? Se un criterio fondamentale è quello delle perdite di rete, l'acqua immessa nell'acquedotto e non fatturata, come sembra indicare Franco Debenedetti in un articolo del 5 novembre sul Corriere della Sera -“Acqua, bene pubblico ma servizio (se possibile) privato”-, la risposta è no. Debenedetti cita l'Acquedotto pugliese, “il più grande d'Europa, una spa di proprietà pubblica, [che] perderebbe il 30% dell'acqua”, ma non deve aver sfogliato l'ultimo rapporto Civicum Mediobanca sulle società controllate dai maggiori Comuni italiani. Se è vero che l'Acquedotto pugliese guida la classifica delle perdite, in classifica è seguita da Acea (con il 35,4% delle perdite): l'ex municipalizza romana oggi gestisce il servizio idrico in diverse città toscane, ma non si preoccupa di ridurre le perdite della rete idrica nella capitale (anzi, se si misura la dispersione media per chilometro di rete gestita, il dato è superiore a quello del lunghissimo Acquedotto pugliese)”. E il valore più basso? È quello di Mm: le perdite di rete per la spa pubblica del Comune di Milano sono ferme al 10,3%, livelli eccellenti su scala europea.

Fonte: Altreconomia Luca Martinelli - 06 novembre 2009

martedì 20 ottobre 2009

Appello per una nuova politica del suolo e di gestione del territorio

Ci sembra fondamentale partire da questo appello per affrontare con maggior impegno l'apertura di una nuova discussione politica, di un "nuovo corso", per quanto riguarda la gestione del territorio.

Appello

Fonte: www.gruppo183.org

L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha recentemente pubblicato un rapporto dal titolo “Regional climate change and adaptation — The Alps facing the challenge of changing water resources” che lancia l’allarme sull’impatto che i cambiamenti climatici possono produrre sulle Alpi e sul loro ruolo di 'torri d'acqua d'Europa'.

Le Alpi sono un ecosistema complesso e vulnerabile che svolge un ruolo cruciale nella raccolta e distribuzione dell’acqua nel continente europeo, offrendo servizi ecosistemici vitali a sostegno del benessere sociale ed economico di milioni di persone che vivono nelle aree di pianura.
Il cambiamento climatico globale, alterando le precipitazioni, la distribuzione della copertura nevosa e dei ghiacciai, pone una grave minaccia per il sistema idrologico alpino, con effetti a valle.

Sulla scorta delle più recenti conoscenze degli impatti del cambiamento climatico sulle Alpi, la relazione analizza i rischi che il cambiamento climatico presenta per il rifornimento e la qualità dell'acqua, individuando le esigenze, i vincoli, le opportunità e le opzioni di adattamento.

giovedì 8 ottobre 2009

Operazione Fiumi 2009


Operazione Fiumi di Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile presenta i risultati inediti di Ecosistema Rischio 2009

Insoddisfacente prevenzione in molti comuni dell'Oltrepò Pavese. Allarme Olona: per il troppo cemento può finire sott'acqua anche Expo 2015

In crescita il sistema locale di protezione civile

Nel 71% dei comuni attiva h24 una struttura di protezione civile


Il 59% dei comuni della Lombardia sono a rischio idrogeologico, ovviamente primi in classifica i territori montani, con le province di Sondrio (99% dei comuni classificati 'a rischio idrogeologico') e Bergamo (75%). Il 78% delle municipalità che hanno risposto alle interviste hanno abitazioni nelle aree golenali, negli alvei dei fiumi e nelle aree a rischio frana, il 22% delle amministrazioni monitorate presenta addirittura interi quartieri in zone a rischio, mentre il 54% ha edificato in tali aree strutture e fabbricati industriali, con grave rischio non solo per l'incolumità dei dipendenti ma anche per eventuali sversamenti di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. Ancora, nel 15% dei casi presi in esame sono presenti in zone esposte a pericolo strutture sensibili, come scuole e ospedali e strutture ricettive turistiche, ad esempio alberghi o campeggi. Sono alcuni dei dati emersi dal check-up sottoposto ai comuni da Ecosistema Rischio 2009, la campagna di sensibilizzazione e prevenzione organizzata da Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile dedicata al rischio idrogeologico presentata questa mattina in conferenza stampa, a Milano, da Paola Tartabini, portavoce Operazione Fiumi, Damiano Di Simine, presidente Legambiente Lombardia, e Stefano Maullu, assessore alla Protezione Civile, Prevenzione e Polizia locale della Regione Lombardia.
Numeri che delineano il quadro di un territorio fragile, dove sono oltre 900 i comuni a rischio frane o alluvioni, e che puntano il dito contro uno sviluppo urbanistico e un uso del territorio poco rispettosi delle limitazioni imposte dal quadro dei rischi connessi all'assetto idrogeologico. Così, nonostante l’88% delle amministrazioni monitorate preveda nei propri piani urbanistici vincoli di edificabilità per le zone a rischio, un abbondante 78% dei comuni presenta abitazioni nelle aree a rischio. E le delocalizzazione procedono a rilento: solo nel 5% dei casi, infatti, sono state avviate iniziative di delocalizzazione di abitazioni dalle aree più a rischio e appena nel 4% dei comuni si è provveduto a delocalizzare strutture industriali. È evidente, quindi, che questi vincoli devono essere ulteriormente rafforzati.
Segnali positivi arrivano, invece, dalla pianificazione dell’emergenza e dall’organizzazione della protezione civile locale. Un sostanzioso 87% dei comuni, infatti, ha predisposto un piano d’emergenza con il quale fronteggiare situazioni di crisi come frane e alluvioni, e il 52% delle municipalità ha aggiornato tale piano negli ultimi due anni. Buono anche il livello di organizzazione e diffusione del sistema di protezione civile, con il 71% delle amministrazioni che hanno attivato una struttura di protezione civile attiva 24 ore su 24.
Pesa sulla diffusa esposizione della Lombardia al rischio idrogeologico, inoltre, una politica di informazione alla cittadinanza frammentaria e poco consistente. Sebbene l’informazione alla popolazione su quali siano i rischi, sui comportamenti individuali e collettivi da adottare in caso di calamità e sul piano d’emergenza predisposta dal proprio comune, rappresenti una delle principali attività di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico, soltanto il 21% delle municipalità intervistate è attiva su questo fronte. Migliore la situazione per quel che riguarda la realizzazione di esercitazioni: il 39% delle amministrazioni, infatti, ne ha organizzata almeno una nel proprio territorio durante l’ultimo anno.
“Pur riconoscendo il buon lavoro svolto dalla Regione e dagli Enti Locali nel settore delle politiche di protezione civile – commenta Paola Tartabini, portavoce di Operazione Fiumi – vorrei richiamare l’attenzione sulle politiche di mitigazione del rischio di frane e alluvioni. Un fronte sul quale la Lombardia ha ancora molta strada da fare. Secondo Ecosistema Rischio 2009, infatti, soltanto il 34% dei comuni svolge un lavoro positivo di mitigazione del rischio idrogeologico e quasi un comune su quattro non fa praticamente nulla per mitigare i rischi e prevenire i danni conseguenti ad alluvioni e frane”.
Le eccellenze regionali nella prevenzione e nella mitigazione del rischio idrogeologico sono rappresentate dai due comuni Palazzolo sull’Oglio e Gardone Val Trompia, entrambi in provincia di Brescia. In particolare Palazzolo sull’Oglio ha meritato la Maglia Rosa di Operazione Fiumi per aver messo in campo interventi di delocalizzazione, a seguito dei quali, non sono più presenti sul proprio territorio strutture in aree a rischio. L’amministrazione di Palazzolo, inoltre, effettua costantemente una manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica, e ha provveduto all’organizzazione di un efficiente sistema locale di protezione civile attraverso la redazione di un piano d’emergenza aggiornato e l’organizzazione di attività informative rivolte ai cittadini e di esercitazioni. Opposta la situazione di Zavattarello, in provincia di Pavia, che invece conquista la Maglia nera di Ecosistema Rischio 2009. Pur avendo strutture in zone esposte a pericolo di frane e alluvioni, infatti, il Comune non ha avviato sufficienti iniziative finalizzate alla mitigazione del rischio idrogeologico. Sorprende, in negativo, il fatto che diversi comuni collinari e montani dell'Oltrepò Pavese dal loro check up rilevino un quadro insoddisfacente degli interventi di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico. 'Sicuramente la montagna pavese è un'area di altissimo rischio idrogeologico - rileva Damiano Di Simine, Presidente di Legambiente Lombardia- in questo territorio sono state censite circa 3300 frane attive o quiescenti, moltissime delle quali interessano centri abitati, e la situazione è fortemente aggravata dai numerosi incendi boschivi che si sono verificati nelle ultime estati. Nessuna sottovalutazione del rischio può essere tollerata in questo territorio che presenta inquietanti analogie con quello della tragedia di Messina'
Con Operazione Fiumi, Legambiente rilancia il suo impegno per la realizzazione di una seria politica di risanamento di un territorio che risulta ancora troppo fragile, per non dover mai più assistere a inondazioni annunciate. Oggi si chiude la tappa lombarda della campagna, nel corso della quale l’equipaggio ha organizzato una giornata di informazione dedicata ai ragazzi delle scuole, a Nerviano (Mi), e una giornata di volontariato attivo per la pulizia e il monitoraggio di un tratto delle sponde dell’Olona. Il fiume Olona è stato 'adottato' da Legambiente, nell'ambito del Contratto di Fiume promosso da Regione Lombardia con tutti gli enti territoriali rivieraschi. Ma anche qui, sebbene non manchino segnali positivi come l'istituzione del PLIS (Parco Locale d'Interesse Sovracomunale) lungo il corso del Medio Olona, il quadro è molto critico, soprattutto per l'elevatissimo livello di cementificazione e consumo di suolo. I dati dell'Autorità di Bacino del fiume Po rilevano, con preoccupazione, che Il 58% dell'intero bacino del fiume Olona, dalle sorgenti sopra Varese all'area Fiera di Milano, è cementificato. 'L'urbanizzazione dei comuni dell'Alto Milanese e del Varesotto è continua e si spinge fino alle rive dei corsi d'acqua, come nel caso di Malnate dove si sta discutendo di realizzare addirittura un outlet commerciale e un nuovo carcere sulle rive del fiume – conclude Di Simine - E' prioritario salvaguardare le aree naturali in cui consentire al fiume di sfogare la violenza delle sue piene, limitando i danni a valle dove, troppo spesso, l'alveo è costretto tra argini artificiali e edifici sorti in area di esondazione: un quadro estremamente allarmante, considerato che L'Olona è il fiume che lambisce anche il sito di Expo 2015'




Ufficio Stampa Operazione Fiumi

Laura Genga tel. 348 2301239

e-mail: operazione_fiumi@legambiente.eu




giovedì 1 ottobre 2009

Imbrocchiamola: con Metropolitana Milanese Spa sempre di più gli esercizi di ristorazione che mettono a disposizione dei clienti l'acqua in brocca


Un fatto di stile e di amicizia per l'ambiente e per la clientela”


I ristoranti di Milano puntano sull'acqua del rubinetto, e non solo: ne fanno un punto d'orgoglio nella loro offerta ai clienti. Sono già oltre 40 gli esercizi che hanno aderito ad Imbrocchiamola, la campagna che Legambiente e Altreconomia promuovono insieme ai gestori dell'acqua pubblica affinché questa trovi uno spazio nelle carte di ristoranti, pizzerie e bar. Nei locali aderenti, riconoscibili dalla vetrofania apposta sulle loro vetrine, sono benvenuti i clienti che chiedono di poter cenare con una caraffa d'acqua senza che il cameriere batta ciglio, come peraltro si usa fare normalmente in tutti i ristoranti della vicina Francia. E il successo che l'iniziativa sta suscitando è dimostrato anche dalla collaborazione stretta con Metropolitana Milanese Spa, la società che gestisce l'acqua pubblica in città e che ha deciso di impegnarsi concretamente realizzando per questa campagna una esclusiva brocca di design. Imbrocchiamola ha ottenuto di recente anche il patrocinio da parte del Comune di Milano. A presentare i risultati e le aspettative per il futuro dell'acqua che sgorga dai rubinetti milanesi sono stati, durante una conferenza stampa, Edoardo Croci, Assessore alla Mobilità, Trasporti e Ambiente, Lanfranco Senn, Presidente di Metropolitana Milanese Spa, Damiano Di Simine, Presidente Legambiente Lombardia e Pietro Raitano, Direttore della rivista Altreconomia.

"E' un piacere constatare che i locali, soggetti chiave nella distribuzione di bevande, che espongono la vetrofania della nostra campagna a Milano sono sempre più numerosi – rileva Pietro Raitano, direttore della rivista Altreconomia -. Evidentemente la sensibilità ambientale di tutti sta cambiando. Inoltre fa vanto la partecipazione di MM ad Imbrocchiamola, perché è un chiaro segnale per i cittadini, da parte del gestore del servizio idrico integrato di Milano che si impegna attivamente a pubblicizzare l'acqua che eroga, conscio sia della sua qualità come del servizio essenziale che fornisce a tutti i milanesi".

Riteniamo questa iniziativa - ha dichiarato il Presidente di Metropolitana Milanese spa, Lanfranco Senn - la naturale prosecuzione di un percorso che Milano, anticipando altre realtà, già percorre da molti anni con la distribuzione nelle scuole dell’obbligo della sola acqua del rubinetto. La nostra missione di servizio pubblico è quella di fornire al cittadino un prodotto di ottima qualità, costantemente controllato e che arriva direttamente nelle nostre case. Questo consente ai milanesi di poter scegliere liberamente cosa bere. Trovare sulla tavola di un ristorante la brocca che contiene acqua del rubinetto, oltre a consentire un risparmio economico al cliente ed a diminuire l’inquinamento con meno plastica da riciclare, diventa anche un messaggio educativo: ricorda a tutti noi che basta poco per essere un po’ più amici dell’ambiente”.

La libera scelta di optare per l'acqua in caraffa, non solo a casa propria ma anche al ristorante, è un gesto di attenzione all'ambiente: quella erogata a Milano è un'acqua salubre e sicura, ed ha il vantaggio di non richiedere alcun imballaggio. Niente bottiglie, né di vetro a perdere né di plastica, nessuna necessità di trasportarla a bordo di inquinanti veicoli commerciali: si beve acqua senza consumare petrolio.

Scegliere di bere acqua di rubinetto significa decidere di ridurre sia la produzione di rifiuti che le emissioni di inquinanti e di CO2 – dichiara Damiano Di Simine, presidente Legambiente Lombardia - e soprattutto di farlo senza privarsi di nulla di essenziale. L'acqua di rubinetto svolge esattamente le stesse funzioni nutritive dell'acqua imbottigliata, assicurando elevati livelli di sicurezza grazie ai controlli igienici stringenti a cui è sottoposta prima di essere immessa in rete. Se davvero si vuole guadagnare in salute al ristorante, il modo migliore per farlo è investire i soldi risparmiati in un ottimo contorno di verdure o in una macedonia di frutta di stagione”

I promotori di Imbrocchiamola ricordano poi che, al contrario di quanto da molti affermato, gli esercizi di ristorazione non sono soggetti ad alcun obbligo di legge o a norme sanitarie che precludano la somministrazione di acqua del rubinetto.

Intervista su Imbrocchiamola (fonte: C6tv)

mercoledì 9 settembre 2009

Obiettivo Olona idee, dati, progetti per il risanamento delle acque del bacino di Olona, Lura, Bozzente

La qualità delle acque del fiume Olona e dei suoi affluenti Bozzente e Lura rimane preoccupante anche in prospettiva dell’entrata in vigore dei parametri definiti dalla direttiva 2000/60 che richiede, entro la fine del 2016, il raggiungimento di un giudizio di qualità "buono" per tutti i corsi d’acqua superficiali. Purtroppo la mancanza di collettamento e di depuratori funzionanti, oltre al forte impatto legato al carico diffuso e all’impermeabilizzazione del territorio limitrofo, hanno reso questo corso d’acqua un recettore di scarichi di varia tipologia piuttosto che una via d’acqua vitale e dinamica. L'iniziativa OBIETTIVO OLONA intende accendere i riflettori sullo stato di salute del corso d'acqua, contribuendo a divulgare i dati sulla qualità delle acque e dell'ambiente fluviale, organizzando iniziative e momenti di partecipazione popolare, sviluppando un approfondimento sulle strategie che possono essere messe in campo per superare gli attuali, pesanti vincoli al perseguimento di un valido risultato in termini di qualità delle acque. Il progetto qui proposto ha le caratteristiche di una campagna di comunicazione ambientale, condotta con lo stile che è proprio di Legambiente: una grande attenzione alla comunicazione, un approccio scrupoloso e responsabile, ma chiaro e netto, riguardo alla divulgazione di dati scientifici, uno sforzo costante di coinvolgimento degli attori locali, siano essi livelli istituzionali, associativi o realtà di impresa legate al ciclo dell'acqua.


Gli incontri pubblici:

Malnate

Lomazzo

Gorla Minore

Saronno


Il documentario "Olona, un fiume":

locandina per le biblioteche


venerdì 21 agosto 2009

Bandiera verde per la regolamentazione delle concessioni idroelettriche


Lombardia
BANDIERA VERDE
a: AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE SONDRIO
Motivazione: per aver portato a compimento, sul terreno istituzionale, il percorso avviato e animato dalla grande mobilitazione popolare per le acque di Valtellina e Valchiavenna: ora il sistema di regole per le concessioni idroelettriche è un modello di riferimento
DESCRIZIONE
Nel 2007 Legambiente premiava con la Bandiera Verde il grande impegno e la competenza con cui associazioni e comitati di Valtellina e Valchiavenna, riuniti nella sigla dello IAPS (Intergruppo Acque Provincia di Sondrio), stavano alimentando una grande vertenza popolare, forte di 45.000 firme raccolte a difesa di un patrimonio di acque depredato nel corso di un secolo di sfruttamento idroelettrico e soggetto ad un'aggressione speculativa con le derivazioni idriche per i cosiddetti 'piccoli salti'. In pratica, grazie ad un utilizzo disinvolto di regimi incentivanti, i pochi corsi d'acqua che non erano stati sfruttati dalle grandi concessioni (anche e soprattutto per ragioni di non convenienza economica) erano divenuti appettibili, portando a nuove derivazioni che comportano severi danni ambientali a fronte di benefici energetici assolutamente marginali. Ricordavamo due anni fa i numeri dello sfruttamento idroelettrico in provincia di Sondrio: 310 opere di captazione, 71 grandi e medi impianti di produzione, 500 Km di condotte, 800 Km di elettrodotti e 56 dighe con una capacità di accumulo di oltre 400 milioni di metri cubi: in pratica uno sfruttamento intensivo delle acque per la produzione di energia idroelettrica in grado di coprire ben il 90% del totale delle portate disponibili, per una produzione energetica provinciale che, da sola, copre il 46% della potenza installata in Lombardia. In un simile quadro generalizzato di sfruttamento, lo IAPS ha efficacemente coordinato l'opposizione popolare al rilascio indiscriminato di ulteriori concessioni e si è reso interlocutore delle istituzioni nella istanza di moratoria. L'azione di IAPS ottenne l'attivazione delle sedi parlamentari producendo, per iniziativa del Sen. Giovanni Confalonieri, l'introduzione di un articolo della Legge Finanziaria 2007 in virtù del quale si fissò la moratoria biennale delle concessioni in Provincia di Sondrio. L'amministrazione provinciale ha raccolto il forte e chiaro segnale giunto dalla mobilitazione popolare, portando nelle interlocuzioni istituzionali con i Ministeri, la Regione e l'Autorità di Bacino del Po le motivate istanze dello IAPS. Nei giorni scorsi, il 22 luglio 2009, il percorso istituzionale si è concluso, con un risultato storico: con atto approvato e siglato dalla Autorità di Bacino del Po la salvaguardia dei corsi d'acqua nei confronti delle captazioni è divenuta esecutiva, non più come moratoria temporanea, ma come vero e proprio atto di pianificazione, posto in salvaguardia nelle more della definitiva approvazione del Piano Territoriale: un piano che la Provincia deve approvare al più presto riguadagnando il troppo tempo perduto finora. A consolidare il risultato vi è il supporto di un compendioso volume di dati e analisi tecniche, assemblato da un qualificato lavoro di squadra degli uffici provinciali in dialogo costante con i tecnici dell'Autorità di Bacino e dei Ministeri, che fa sì che il risultato raggiunto risulti inattaccabile non solo sul piano normativo ma anche su quello delle basi conoscitive. La bandiera verde alla Provincia di Sondrio saluta l'introduzione di un regime esemplare di salvaguardia di un bacino imbrifero montano, che si candida a diventare esperienza pilota per l'intero arco alpino. Ma vuole anche riconoscere l'efficacia di una pratica della politica che riconosce e dà il giusto valore alla partecipazione e alla sollecitazione dal basso, una pratica che in molte occasioni, nella stessa provincia e soprattutto sui temi ambientali, non ha ricevuto analoga considerazione.

giovedì 30 luglio 2009

Goletta dei Laghi 2009


Acque inquinate in 14 punti sul lago di Garda, dove le analisi hanno rilevato una concentrazione di batteri fecali al di sopra dei limiti di legge. Sei sono sulla sponda lombarda, 2 su quella trentina e infine gli altri 6 sulla costa veneta. Sui quattordici laghi italiani monitorati da Legambiente, in 6 regioni, alla fine sono stati 65 i campioni risultati inquinati. Tra i bacini più grandi la maglia nera nazionale va al lago di Como - con 15 punti critici, in media uno ogni 11 km di costa - e all’Iseo - con 9 campioni fuori dai limiti, mediamente uno ogni 7 km -.

Questo il bilancio complessivo al termine della sesta e ultima tappa della Goletta dei Laghi, la campagna per il monitoraggio e l’informazione dei bacini lacustri, quest’anno alla ricerca dei punti critici sulla qualità delle acque, realizzata in collaborazione con il COOU (Consorzio Obbligatorio Oli Usati). I dati sono stati comunicati oggi durante una conferenza stampa a cui hanno partecipato Stefano Ciafani, responsabile scientifico nazionale di Legambiente e Barbara Meggetto, direttrice di Legambiente Lombardia.

Riflettori accesi dunque sul più grande bacino italiano che si estende in tre differenti regioni: Lombardia, Veneto e Trentino. Tre i punti risultati fortemente inquinati sulla sponda lombarda. Di questi, due sono “vecchie conoscenze” della Goletta dei Laghi, Desenzano e Limone del Garda, a cui quest’anno si aggiunge la new entry di Tignale, frutto delle segnalazioni al servizio “SOS Goletta” di Legambiente. Inquinati invece i punti a Moniga, Salò e Toscolano Maderno.

“Anche sul Garda c’è bisogno di urgenti interventi infrastrutturali, a partire dal basso lago - dichiara Barbara Meggetto, direttrice di Legambiente Lombardia -. Occorre adeguare il sistema di depurazione, anche alla luce dei nuovi sciagurati piani di sviluppo urbanistico, basati molto spesso sulla costruzione di seconde case. Bisogna risolvere il problema dei 130 sfioratori che scaricano a lago reflui non depurati durante le piogge, separando laddove possibile la rete delle acque bianche da quelle nere. E’ solo con questi interventi che si migliora la salute dei laghi e non cambiando ‘frettolosamente’ la normativa, così come ha fatto la Regione Lombardia”.

Il Pirellone ha infatti cambiato le regole del gioco anticipando l’entrata in vigore della nuova normativa sulla balneazione, il d.lgs. 116/2008, nonostante il decreto mille proroghe e una successiva circolare del ministero della Salute prevedessero anche per l’estate 2009 il monitoraggio delle acque secondo la vecchia legge del 1982, utilizzata da tutte le altre regioni italiane e dai tecnici della Goletta dei Laghi. Nel fare questo la Regione Lombardia non ha aspettato il completamento dell’iter del Ministero della Salute con l’approvazione del decreto attuativo senza il quale la nuova normativa non è pienamente applicabile, oltre a risultare più permissiva.

Con il cambio della normativa lombarda sulla balneazione, che Legambiente ha definito una “magia alla Houdini”, a diventare puliti “per decreto” sul lago di Garda sono ben 4 punti sui 6 riscontrati inquinati dall’associazione: Moniga, Salò, Toscolano Maderno e Limone del Garda.

Ma la Goletta ha analizzato tutto il lago di Garda. Sulla sponda veneta sono risultati fuori dai limiti 6 campioni. In particolare fortemente inquinati sono i 4 punti di Peschiera del Garda, Castelnuovo del Garda, Lazise e Bardolino. Inquinati invece i due campioni prelevati a Garda e a Torri del Benaco. In Trentino off limits invece i punti campionati a Torbole del Garda, risultato fortemente inquinato, e a Riva del Garda, dove ad essere inquinata è la foce dei fiumi Albore e Varone.

Si conclude dunque sul Garda il lungo viaggio della Goletta dei Laghi. I tecnici del laboratorio mobile hanno monitorato, in un mese, ben 14 laghi in 6 regioni (Lazio, Umbria, Piemonte, Lombardia, Veneto e Trentino). Alla fine sono 65 i punti critici rilevati da Legambiente, di cui 35 fortemente inquinati. Dal bilancio complessivo della campagna ambientalista emerge un dato significativo: è allarme foci sui laghi italiani. Infatti oltre la metà dei campioni risultati fuori dai limiti (35) è stata prelevata allo sbocco di torrenti e fiumi che scaricano a lago anche i reflui non depurati dei centri abitati delle aree interne. Dieci le foci trovate inquinate sul Garda, 6 sull’Iseo e sul Maggiore, 5 sul lago di Como, tre sul lago di Fondi nel Lazio e 2 sul Trasimeno in Umbria.

I dati di Goletta dei laghi confermano quanto emerso recentemente a proposito della mancata depurazione dei reflui fognari. È di qualche settimana fa la notizia dell’imminente avvio della procedura d’infrazione europea per la mancata applicazione della direttiva sul trattamento delle acque reflue in ben 525 comuni con oltre 15mila abitanti. Dati confermati dal Rapporto Blue Book 2009 di Utilitatis e Anea secondo il quale l’85% degli italiani è servito dalla rete di fognatura e solo il 70% da un impianto di depurazione.

“I numeri sulla mancata depurazione delle acque reflue sono da vera e propria emergenza nazionale - dichiara Stefano Ciafani, responsabile scientifico nazionale di Legambiente -. Siamo stanchi di sentir parlare di grandi e inutili infrastrutture, come il ponte sullo Stretto di Messina o le nuove autostrade del Nord Italia, quando si potrebbero utilizzare quelle risorse per opere pubbliche meno visibili ma più utili, come ad esempio i sistemi di fognatura e trattamento dei reflui fognari, evitando di pagare le sanzioni europee. Per garantire la salute dei bagnanti e la tutela dell’ambiente è necessario che entro la fine dell’anno il Ministero della Salute approvi il decreto attuativo, completando la normativa di recepimento della direttiva sulla balneazione. Solo così manterremo quel primato europeo che il nostro paese detiene dal 1982”.

Per il quarto anno consecutivo Goletta dei Laghi si è svolta anche grazie al contributo di COOU, il consorzio che in Italia ha l’importante compito di recuperare gli oli usati: grave minaccia per l’ambiente, specie se versati nelle acque dei nostri laghi. “L’olio lubrificante usato - ha detto Paolo Tomasi, Presidente del Consorzio Obbligatorio Oli Usati - è un rifiuto pericoloso. Basti pensare che, se versati in un lago, 4 kg di olio usato - pari al cambio d’olio di una sola auto - inquinano una superficie grande quanto sei piscine olimpiche. Ma se correttamente recuperato l’olio usato può trasformarsi in una preziosa risorsa economica. In 25 anni di attività, attraverso la rigenerazione, il COOU ha consentito all’Italia di risparmiare 1 miliardo di euro sulle importazioni di petrolio. Risultati del genere sono resi possibili anche grazie alla collaborazione di tutti. Partecipare a “Goletta dei laghi” ci consente di rafforzare questa alleanza con il nostro interlocutore più importante: il cittadino”.

Comunicato stampa Legambiente 30/7/2009

SICCITA’: SCORTE IDRICHE AI MINIMI STORICI, MANCANO 2 MILIARDI DI METRI CUBI D’ACQUA

SICCITA’: SCORTE IDRICHE AI MINIMI STORICI, MANCANO 2 MILIARDI DI METRI CUBI D’ACQUA DOSSIER - ACQUA E AGRICOLTURA Occorre ridurre i fabbiso...