Milano, 15 giugno 2022 - La pianura lombarda è assetata come
non mai: secondo i dati della rete di centraline del CML - Centro Meteo
Lombardo, in oltre metà delle località di pianura dotate di pluviometri
quest’anno non si sono raggiunti nemmeno i 150 mm di precipitazioni,
ovvero meno di un terzo delle piogge cumulate
che normalmente cadono tra gennaio e giugno. La situazione più grave
riguarda la pianura risicola, tra la provincia di Pavia e quella di
Lodi. Non va meglio sui rilievi appenninici dell’Oltrepò, dove i
torrenti sono in secca e in diversi centri della Valle Staffora si sta
iniziando a razionare la fornitura idrica. Ma ciò che è più grave è la assenza di rifornimento dai bacini alpini, che in questo periodo dovrebbero beneficiare ancora delle acque del disgelo: la neve quest’anno è invece da tempo scomparsa anche alle quote più alte,
e con il caldo che spinge lo zero termico ad altitudini superiori ai
4000 metri, ciò che sta fondendo, con un anticipo di un mese e mezzo,
sono le nevi e i ghiacci ormai non più ‘perenni’. In ogni caso si tratta di apporti largamente insufficienti a far fronte alla sete dei campi.
Secondo
i dati periodicamente aggiornati da ARPA Lombardia, i bacini montani
dei grandi fiumi da cui dipende la gran parte dei fabbisogni agricoli e
industriali presentano un inedito deficit di precipitazioni: da inizio
anno nel bacino montano dell’Adda sono caduti 270 mm di pioggia, è
andata un po’ meglio nella catena orobica in cui mediamente si sono
misurati 340 mm. Per confronto, negli ultimi 4 anni, la precipitazione
misurata nello stesso periodo dell’anno, era pari a circa 460 mm nel
bacino dell’Adda e a 660 in quelli di Brembo e Serio. Complessivamente, da inizio anno si è accumulato un deficit pluviometrico nei bacini alpini valutabile in circa 4 miliardi di metri cubi d’acqua.
A
farne le spese sono stati in primo luogo i laghi prealpini, che
funzionano da enorme serbatoio il cui rilascio è gestito dagli enti
regolatori che manovrano le dighe degli emissari modulando la portata
dei grandi fiumi (Ticino, Adda, Oglio, Chiese e Mincio) per rispondere
ai fabbisogni dei grandi utilizzatori idrici, e in particolare dei
consorzi irrigui. Il Gardaè l’unico che dispone ancora di oltre la metà del suo volume di invaso, mentre la situazione è critica per il Verbano, il cui livello è ormai sotto lo zero idrometrico e che sta riducendo i rilasci di portata, ed anche per il Lario, in cui il livello sta scendendo al ritmo di 7 cm al giorno: se non pioverà, per il lago di Como il limite minimo di regolazione sarà raggiunto in soli 8-10 giorni,
davvero troppo poco per i fabbisogni delle grandi aree di pianura che
dipendono dai canali che pescano dall’Adda. Da inizio anno, secondo le
misure degli Enti Regolatori dei laghi, alla contabilità idrica del Verbano sono mancati 2.260 milioni di mc di afflussi, mentre ne sono mancati 920 milioni al Lario, 400 milioni al Sebino, 130 milioni all’Eridio e 400 milioni al Benaco.
Inutile fare troppo affidamento sulle acque dei bacini idroelettrici montani: anche loro sono ben al di sotto della loro capacità.
Le dighe dell’intero bacino montano dell’Adda, ad esempio, contengono
solo un terzo della capacità complessiva di invaso, pari a 515 milioni
di mc. Ma è un’acqua preziosa i cui rilasci vanno gestiti con grande attenzione, perché siccità e caldo potrebbero presto rendere critica l’alimentazione della rete elettrica,
considerando anche che le centrali termoelettriche hanno bisogno di
tanta acqua per il raffreddamento, e che nei fiumi da cui la prelevano
ce n’è sempre meno.
«Quello
che da anni si paventava per il futuro oggi sembra già essere una
realtà. Si preannuncia una battaglia dell’acqua tra i grandi
utilizzatori, ma la coperta è corta per tutti: non ci sono grandi
margini di contesa di una risorsa idrica che non è mai stata così scarsa
– constata Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia –
e che deve vedere i fiumi rappresentati nei tavoli istituzionali,
‘legittimi proprietari’ dell’acqua che preleviamo a scopi produttivi.
Occorre, infatti assicurare che il deflusso sia garantito lungo tutte le
aste fluviali, per evitarne la morte biologica: derogare all’obbligo di
deflusso vitale porterebbe pochissimi vantaggi in termini di
disponibilità idrica in agricoltura, ma causerebbe danni ambientali
potenzialmente irreparabili».
Dal territorio e dalla cronaca arrivano già numerose testimonianze della sofferenza dei fiumi lombardi, dovute alla scarsa portata e ai suoi effetti sulla concentrazione di inquinanti, l’eutrofizzazione e il surriscaldamento dell’acqua, che con il procedere della stagione rischia di determinare morie generalizzate della fauna ittica.
«Al
punto in cui siamo occorre fare ogni sforzo per limitare i danni
all’agricoltura, ma come ripetiamo da anni il problema vero non è la
scarsità di acqua, ma il fatto che ne utilizziamo troppa in un quadro
climatico ormai cambiato – dichiara Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia –
Da sempre la nostra è la regione italiana di gran lunga più dotata di
riserve idriche, ma da due decenni queste riserve non sono più una
garanzia di disponibilità illimitata. Occorre introdurre tecniche
irrigue più efficienti, e anche modificare gli ordinamenti colturali,
diversificando le colture oggi dominate dalle due specie in assoluto più
esigenti in termini irrigui, il riso e soprattutto il mais».
L’associazione mette anche in guardia rispetto a quelle che appaiono come facili soluzioni, ad esempio la creazione di piccoli invasi per
lo stoccaggio idrico: «i piccoli invasi possono essere interessanti per
realtà che ne sono prive, ma la Lombardia ha una capacità di stoccaggio
idrico imponente. Tra bacini idroelettrici e grandi laghi prealpini
possiamo gestire una capacità di invaso di oltre 2,5 miliardi di metri
cubi. Affrontare spese enormi per aumentare di uno o due punti
percentuali il potenziale di stoccaggio idrico davvero non pare una
risposta efficace, rischia di diventare un diversivo per ritardare le
azioni prioritarie, che sono le politiche e gli investimenti per la
riduzione dei fabbisogni idrici dell’agricoltura lombarda» concludono da Legambiente Lombardia.