Cinque richieste e un grande obiettivo per il 2015:
Lambro balneabile
“L’Italia si è rivelata impreparata ad affrontare emergenze come quella accaduta sui fiumi Lambro e Po. Solo la buona volontà e la prontezza della Protezione civile locale, dei tecnici della depurazione dell’impianto di Monza e di alcune Province e Comuni hanno consentito che il disastro non avesse conseguenze peggiori”. È questa la considerazione di Legambiente alla conclusione della campagna Operazione Sos Po - Lambro, partita subito dopo il disastro raggiungendo le zone più colpite lungo l’asta dei fiumi.
A conti fatti, da dati ufficiali, sono state sversati 3.000 metri cubi di petrolio, cioè 2.600 tonnellate di idrocarburi di cui 1.800 di gasolio e 800 di oli combustibili. Gli interventi di contenimento hanno fatto sì che 1.250 tonnellate venissero bloccate dal depuratore di Monza, 300 nel piazzale della Lombarda Petroli, 200 fermate lungo il Lambro e 450 arrestate dalla diga di Isola Serafini. Delle 400 tonnellate che mancano all’appello, quantità imprecisate sono evaporate o si sono depositate sulle sponde, e dunque solo una piccola frazione, sicuramente inferiore al 10% dello sversamento, ha raggiunto il delta e da qui l’Adriatico. Il danno è stato comunque molto grave per le acque e l’ecosistema fluviale, e richiede azioni efficaci di risanamento e recupero ambientale.
Al danno da petrolio si è aggiunto quello legato alla messa fuori servizio del grande depuratore di Monza, che serve 700.000 abitanti equivalenti. Gli effetti sono stati limitati grazie alla tempestività degli interventi di ripristino messi in atto dalle maestranze dell’impianto, rientrato in funzione in anticipo sui tempi previsti, e alla modulazione delle portate del fiume attuata dall’ente Parco Regionale della Valle del Lambro, che regola la diga del lago di Pusiano: chiusa durante la discesa del petrolio per rallentare la marea nera, e poi riaperta per diluire i reflui del depuratore.
Per verificare la situazione, Legambiente ha voluto “toccare con mano” ed è partita per un viaggio contro corrente - dal Delta fino a Villasanta - sulle tracce del disastro, per constatare direttamente i fatti e verificare, con i diretti interessati, come è stata affrontata l’emergenza. Per dieci giorni i tecnici di Legambiente, insieme ai circoli e ai comitati regionali di Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, hanno incontrato associazioni, amministratori e semplici cittadini, che vivono sulle sponde di Po e Lambro.
Dagli agricoltori ai pescatori, dagli allevatori di mitili del delta del Po ai dirigenti dei Parchi e agli assessori delle provincie da Rovigo a Piacenza fino a Monza, chiedono con forza che il Lambro non venga escluso dagli interventi di risanamento del Po. Fra le istituzioni incontrate non potevano mancare l’Autorità di Bacino del Po e le Arpa delle tre regioni coinvolte. Durante il viaggio Legambiente ha registrato la rabbia e la speranza dei cittadini che vivono sull’asta fluviale e la preoccupazione per il danno ambientale che questo disastro ha portato. Molte sono state le conferme alle accuse lanciate fin dalla prima ora. Innanzitutto quella relativa alla sottovalutazione della Regione Lombardia sull’entità dello sversamento, sottovalutazione che ha messo in grave difficoltà gli interventi successivi messi in campo nelle regioni Emilia Romagna e Veneto.
A questo si aggiunge la mancanza e l’inadeguatezza dei controlli delle industrie a rischio di incidenti rilevanti come la Lombarda Petroli: un fatto scandaloso, considerato che nella sola Lombardia le aziende a rischio sono ben 287. Appare ormai chiaro, infatti, che Lombarda Petroli, pur essendo riuscita da un anno ad uscire dal novero delle aziende a rischio, deteneva quantitativi di idrocarburi superiori al consentito, in condizioni di grave carenza di sistemi di sicurezza. Un quadro sconcertante, derivante anche dalla perdurante sovrapposizione di ruoli (le ispezioni al sito di Lombarda Petroli, a quanto pare superate con esito positivo, sono infatti una competenza del Ministero dell’Ambiente), che alla fine si è trasformata in tragedia ambientale.
Inoltre tutti i rappresentanti istituzionali incontrati nel corso del viaggio hanno lamentato la mancanza di un coordinamento nazionale per l’emergenza fin dall’inizio del disastro. Il ritardo con cui le Regioni hanno chiesto lo stato d’emergenza nazionale ha determinato disordine e conflitti nell’organizzazione degli interventi, senza che vi fosse chiarezza sulla catena di comando.
Resta tutta da chiarire la dinamica degli eventi che hanno impedito di fermare la marea nera agli sbarramenti di Cerro al Lambro e Melegnano (Mi): in quel punto sono transitate circa mille tonnellate di idrocarburi, una quantità certo enorme, ma corrispondenti alla capacità di 40-50 autocisterne, mezzi che non sarebbe stato impossibile predisporre e gestire nell’arco delle molte ore che la marea nera ha impiegato per raggiungere i due centri al confine del territorio milanese.
Un plauso invece va agli enti brianzoli e a quelli piacentini: con sangue freddo e decisioni giuste, gli interventi dei dirigenti della provincia monzese, del Parco della Valle del Lambro e dell’Azienda che gestisce il depuratore sono stati sicuramente i più efficaci e tempestivi, mentre ai Sindaci di Piacenza e Monticelli, insieme al Presidente della Provincia e all'Autorità di Bacino, deve essere riconosciuta l'azione risolutiva, resa possibile dalla richiesta di intervento della Protezione Civile Nazionale in un momento di grave mancanza di coordinamento.
Alla fine del lungo viaggio di Legambiente quindi, bisogna tornare a parlare di bonifica dei siti in cui sono ancora presenti idrocarburi, di un’adeguata azione di monitoraggio delle acque, ma anche e soprattutto di risanamento di quella spina nel fianco che, da sempre, il Lambro costituisce per il Po, gravemente inquinato anche in condizioni ordinarie.
Sono cinque le richieste di Legambiente al riguardo:
- procedere il più rapidamente possibile (e quindi prima della prossima piena) all’individuazione dei siti che richiedono un intervento di rimozione degli idrocarburi lungo le sponde e sui materiali galleggianti;
- rendere immediatamente disponibili i fondi promessi da tempo per realizzare il progetto speciale “Valle del Fiume Po”: si tratta di 180 milioni di euro, richiesti da tutte le province rivierasche attraverso un piano d’azione congiunto per la riqualificazione e la rinaturazione del più grande fiume italiano, ma che l’attuale Governo ha ripetutamente messo in discussione;
- predisporre specifici piani di coordinamento interregionali ed interprovinciali per incidenti rilevanti di tipo industriale sul Po ed affluenti, con la creazione di nuclei di intervento specificatamente preparati e dotati di materiale idoneo ad intervenire in casi simili.
- avviare un sistematico programma di controlli sugli scarichi industriali nel bacino del Lambro e del Po, per reprimere i ricorrenti fenomeni di illegalità;
- fare tesoro dell’esperienza: il disastro del 23 febbraio deve servire da monito per tutti: il Lambro e il Po devono rispettare le scadenze che l’Europa impone per il risanamento di tutti i fiumi europei. Entro il 2015 il Lambro deve avvicinarsi il più possibile alla balneabilità, obiettivo che oggi appare lontanissimo. Proponiamo a tutti i comuni rivieraschi di approvare una delibera per far diventare il 23 febbraio la “giornata del Lambro”, in occasione della quale presentare gli avanzamenti fatti in direzione del risanamento fluviale: scarichi collettati, depuratori realizzati, interventi per migliorare la qualità ambientale del bacino del Lambro.
Tutto il resoconto dell’Operazione Sos Po - Lambro è disponibile sul sito www.legambiente.it
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