sabato 7 gennaio 2012

Le storie raccontate dal fiume

Viaggio in barca per scoprire il Lambro da San Zenone a Corte Sant’Andrea
Tre registe e un giornalista attraversano la Bassa tra “porti di mare” e sorprese

Ci sono cose che succedono solo al fiume o al fiume succedono meglio: incontri, tramonti, pensieri. Se succedono anche al Lambro vuol dire che San Zenone, Graffignana e Orio Litta sono posti di fiume: è stato così da sempre (chi lo avrebbe mai discusso?) fin quando se ne sono dimenticati tutti, rimuovendo il problema - il cancro del corso d’acqua - dimenticandosene. La notizia dopo due giorni di navigazione, interviste e storie, è questa: il Lambro è un fiume. Non uno scolo, una fogna, un collettore. Un fiume. Adagio, con la grazia silenziosa delle buone notizie, sta tornando a vivere e far vivere. L’acqua migliora per l’apertura di depuratori grossi (a Milano) e piccoli (a Salerano, uno fra altri esempi); qualcuno pesca, come Roberto Milanesi di Mairano, che ci ha trovato i lucci; pochissimo odore, ma ancora plastica appesa agli alberi, assorbenti, masserizie dell’edilizia e pattumiera di ogni genere nelle anse, sulle rive, giù per i costoni.

Grazie all’intraprendenza di tre giovani registe, Elena Maggioni di Lecco, Carlotta Marrucci di Siena e Federica Hulda Orrù di Milano, cinque anni dopo, «il Cittadino» è di nuovo sceso con una barca lungo tutto il basso corso del Lambro: da Santa Maria in Prato, frazione di San Zenone, fino a Corte Sant’Andrea, dove il corso d’acqua, rinforzato dalle piogge, entra fra i gorghi nella corrente del Po.

Si lasciano gli ormeggi nella tenuta di Andrea Rognoni, guardia giurata in pensione, difese pure Silvio Berlusconi: uomo fermo e per anni armato, quasi piange ricordando la sua infanzia fluviale, con l’acqua da bere e i gamberi d’acqua dolce. «Non è giorno per navigare», dice, e cerca di convincere l’equipaggio - tre donne e un uomo - a rimandare la partenza. «Ci sono le rapide, a Salerano», anticipa, ma quando s’arriva sotto il ponte storico della vecchia dogana del sale, la barca (detta Suculina e generosamente data in prestito da Nüm del Burgh), sobbalza ma resiste ai flutti.

Cominciano a vedersi gli scarichi in alveo, poca roba, getti d’acqua, ma sono davvero molti. Non da tutti esce acqua sporca: ma come possibile, in ogni caso, controllarli, per tutte le ore del giorno e della notte? In pochissimo tempo, uno solo di questi può generare un disastro ambientale, come successo nel febbraio 2010 con la Lombarda Petroli, lasciando pressoché impuniti i responsabili, essendo, notoriamente, la Bassa Padana un dedalo d’acque.

A Casaletto Lodigiano non si può non incontrare Roberto Smacchia, che da anni rovista nelle carte a caccia delle strade strane percorse dai nomi dei posti. Perché il Lambro si chiama così? Lambro come lampròs (in greco, “lucente”)? O Lambro come elafròs, nella stessa lingua, “svelto”? Chissà. Se ne parla davanti a un buon bicchiere di Croatina e tavola imbadita di formaggi e salumi, all’osteria di Beccalzù, sul confine antico fra lodigiano e pavese.

Navigando il fiume verso valle, da queste parti come i corsi giovani in zone di terra, pieno di anse a gomito, passiamo sotto la nuovissima passerella pedonale di Castiraga Vidardo. Si entra a Sant’Angelo Lodigiano: da terra ci individua un signore intento a curare le risaie. «C’era un ponticello in legno da queste parti», informa ad alta voce dalla macchina, un po’ stupito per quello strano aggeggio, un bastone lungo, giallo e lilla, ferrato in fondo. Per entrare in paese bisognerebbe girare a destra e imboccare il Lambro meridionale. Comincia a piovere e allora teniamo il buon vecchio Lambro delle Prealpi, una tangenziale acquatica del borgo barasino. Rive altissime per tornare a terra, e andare a riparasi, centinaia di metri nelle ranse (voce lodigiana-agricola per chiamare le sterpaglie), poi finalmente una risaia, una stradina, una cascina, e un passaggio per rifugiarsi a Corno Giovine, nella calda soffitta in legno di un amico.

Colazione al bar Laghetto - porto di mare della Bassa - e da Corno si ritorna fra Sant’Angelo, Bargano e Graffignana, dove la Suculina ha dormito, ben legata a un salice.

Si naviga con solleone e cielo blu un po’ americano dell’Ovest, di quando il piovasco nella notte ha finito il suo lavoro. Si naviga in mezzo alla melga, al mais, fra vecchi salici e qualche quercia. L’idea magica che questa fu per secoli un’autostrada del Sole percorsa da barche veneziane verso Milano. Noi scendiamo dove sono saliti marmi del Duomo di Milano, tanto sale, e chissà cos’altro, e chi altro.

Scendiamo e bussiamo la porta di una cascina. Un’anziana piange la morte, recente, del marito. E dice: «Ah, lü, alter che un giurnalista. El me òm!». Ah, lui, mio marito, altro che un giornalista. «Lui sapeva tutto del Lambro. Ha vissuto tutte le piene». Lei, però, ricorda bene di quando era bambina e andava a pescare i pesciolini nelle marcite, tirandoli su con lo scolapasta.

A San Colombano il fiume s’allarga e si raddrizza. Ci sorprende una visita non attesa di Gino Cassinelli, mitico presidente di Nüm del Burgh, venuto con un camioncino pieno di prosciutto e melone, mozzarelle, pane prosciutto e spumante. Qualcuno racconta che una volta, da qui, il Lambro non andava dritto a sfociare nell’ansa del Po, ma scodinzolasse nella Bassa fin dalle parti, appunto, di Corno Giovine. Fra gli arbusti più presenti, c’è il sambuco, con i suoi ombrelli di bacche ben mature in questo periodo. Ci sono anche idrovore, nascoste nella vegetazione, che pompano acqua di fiume nei campi. Non sta a noi stabilire se sia adatta. Di certo è un rischio, immetterla nel ciclo di produzione alimentare.

Siamo, e si capisce dalla larghezza dell’orizzonte, e dai pioppi, nella Bassa. Ci seguono, ma ormai l’occhio è abituato, alberi ricoperti di plastica, e frutti galleggianti del progresso, stampanti e passeggini, arenati, infangati. Saltare le cascatelle di Orio Litta è una cosa un po’ da matti, la barca si gira, scende di poppa, imbarca acqua ma restiamo a galla. E’ salva anche l’attrezzatura della regista, che affronta il salto coricandosi tra le panche della Suculina.

Con il fiume un po’ pienotto, il Lambro fa fatica a penetrare la corrente: si forma quindi una specie di lago, con i gorghi, alla confluenza. Intanto, intorno, il gigantesco silenzio del grande fiume. Vien giù anche il sole, rosso fuoco in acqua, sulla spiaggetta di Corte Sant’Andrea. Siamo di nuovo a terra, due giorni dopo, e sembrano due mesi. Accoglienza dalla gente del posto, che non crede al salto del ponte di Orio, e racconta. Ti rendi conto che il fiume non sposta acqua ma è un nastro trasportatore di storie, e quanto ci avesse preso Gianni Brera, scrivendo pochi curvoni più a monte: «Non madre è la terra per i Padani, ma padri sono i Padani della loro terra, cui aggiunsero per millenni la propria carne e le proprie ossa (sui tozzi campanili lombardi, al tramonto, voi vedrete rosseggiare ancora oggi quel sangue tenace)».

Fonte: Il Cittadino.it articolo di Stefano Rotta del 29 dicembre 2011

Nessun commento:

SICCITA’: SCORTE IDRICHE AI MINIMI STORICI, MANCANO 2 MILIARDI DI METRI CUBI D’ACQUA

SICCITA’: SCORTE IDRICHE AI MINIMI STORICI, MANCANO 2 MILIARDI DI METRI CUBI D’ACQUA DOSSIER - ACQUA E AGRICOLTURA Occorre ridurre i fabbiso...