venerdì 20 gennaio 2012

Acqua pubblica sì, ma non banalizziamo

Vogliamo evitare la Caporetto di un servizio essenziale e risparmiare, nei prossimi venticinque anni, 130 miliardi di euro di costi per mancata modernizzazione, ai quali vanno aggiunti i rischi ambientali? Come ne usciamo? Dove troviamo le risorse? Cinque domande molto concrete sull'acqua pubblica
Petrella, Fattori, Oddi, Bersani, i servizi di Palladino hanno il gran merito di tenere aperta la discussione sulla gestione dell'acqua. La proprietà pubblica del bene, finalmente, non è più in discussione. Noto però che continua lo schema delle due curve sud. Ognuna delle quali sventola la sua icona ideologica: privatizzazione o ripubblicizzazione. Messa così non c'è partita, ma solo la fatalità di una sconfitta o della vittoria. Vale la pena continuare a discutere di acqua eliminando, ad esempio, il lavoro e i lavoratori, la catastrofe delle reti acquedottistiche in gran parte del Sud per circa 10 milioni di persone, il dramma della depurazione con tre italiani su dieci non allacciati a fognature e depuratori, l'inquinamento del 40% dei nostri fiumi e laghi e il mare avvelenato da scarichi in libertà, le perdite in rete al 40%, i troppi impianti obsoleti, la regolazione e il controllo pubblico poco credibile, lo spread di almeno vent'anni di ritardate o mancate opere e infrastrutture con i migliori Paesi europei?
Non tutto è tragedia idrica. C'è un'Italia che ha sostenuto enormi finanziamenti, aperto cantieri anticiclici risolvendo problematiche storiche e producendo ottima occupazione con le sole bollette e l'accesso al mercato del credito. Chiusa (forse) finalmente la stagione dei peggiori anni della nostra vita politica, di fronte allo tsunami economico che chiede risposte concrete e veloci soprattutto sul lavoro che, come ripete la Cgil è l'unica cura per il Paese, sarebbe imperdonabile far finta di niente e continuare a discutere di acqua cavalcando metafore e simboli e scivolando proprio sulle condizioni del bene comune e sul che e come fare per salvarlo. La gestione del ciclo dell'acqua potrebbe diventare una potente leva in grado di creare nuovo lavoro, produrre qualità nei servizi e per la competizione, tirarci fuori dalla melma in cui siamo finiti. L'Istituto Ambiente Italia ha realizzato il primo studio sulla Blue Economy, il possibile New Deal idrico e fognario italiano, scoprendo che potrebbe impegnare dai 160.000 ai 220.000 lavoratori in più in un comparto che oggi ne occupa 180.000 più l'indotto, dando ossigeno alle industrie della Green Economy. Quanta parte di torta del nostro benessere dipende dalla realizzazione di opere pubbliche prioritarie e intergenerazionali per avere acqua sempre, e una volta utilizzata vederla restituita allo stato di natura all'ambiente o al riuso? Ci limitiamo ad applaudire da lontano Obama che si è ricandidato con un piano idrico di miliardi di dollari?
A che serve banalizzare e ridurre le 145 aziende idriche con 8 Spa quotate in borsa che sono integralmente o a maggioranza pubbliche a tecnocrazia, profitto e ricavi, forme di accumulazione, capitalismo finanziario, neoliberismo? O continuare a confondere acqua con tubi, gestori con padroni, gare a evidenza pubblica per selezionare il miglior idraulico delle città con la svendita della risorsa? Credo che una sinistra che abbia voglia di ritrovare se stessa e liberarsi dalla malapolitica, debba fare i conti con questa realtà, capire, approfondire, proporre le migliori soluzioni realizzabili per far ripartire investimenti giganteschi che servono.
Dal quadro che mi sono fatto lavorando nel settore, posso scrivere tranquillamente che in gran parte del Paese siamo nei guai. Oggi e nel futuro far quadrare tutti i conti con le sole bollette medie italiane di circa 135 euro l'anno (3 o 4 volte più basse di Francia, Germania o Inghilterra) è un bel problema. La nostra acqua ha bisogno di spendere quel mare di risorse (65 miliardi di euro) previste nei Piani di ambito nei prossimi trent'anni, al ritmo di 5 miliardi l'anno. C'è bisogno urgente di rottamare circa 170.000 km di tubi nonni e bisnonni. Posare 51.000 km di nuove reti di distribuzione. Costruire o ammodernare impianti e depuratori. Non ci sono alternative se vogliamo evitare la Caporetto di un servizio essenziale e far risparmiare a noi cittadini nei prossimi venticinque anni qualcosa come 130 miliardi di euro di costi per mancata modernizzazione, ai quali vanno aggiunti i rischi ambientali. E allora, come se ne esce? Dove troviamo le risorse? Pongo alcune domande.
La prima. Monti, ben sette mesi dopo il referendum, ha finalmente affidato le funzioni di controllo, regolazione e la nuova tariffa all'Autorità nazionale energia e gas. Dovrà coprire il vuoto normativo seguito all'abrogazione del 7% della remunerazione del capitale investito, evitando che tanti cantieri chiudano o restino al palo per l'impossibilità di accesso al credito (anche della Cassa depositi e prestiti). L'incertezza sulla tariffa ha questo paradossale effetto. Perché allora il tema dell'Autorità nazionale dell'acqua e del controllo pubblico forte e indipendente del settore, quel 'cane da guardia' modello Ofwat inglese che sa difendere i consumatori, garantire equità nelle tariffe decise dai Sindaci, controllare tutta l'acqua, i gestori, gli investimenti e la qualità del servizio, non sembra interessare? Meglio la farsa dei 92 Ato dove la politica finge di controllare se stessa producendo casi limite?
La seconda. Se l'acqua incanalata nei tubi e al rubinetto viene considerata profitto, per quale inconfessabile segreto quando viene incanalata nelle bottiglie di plastica torna acqua? Per questo bene mercificato ogni famiglia paga al supermercato una seconda e quasi sempre inutile bolletta occulta pari a circa 200 euro l'anno, favorendo un colossale business privato. Perché interessa a pochi questo meraviglioso mondo del bene comune ceduto da Regioni e Comuni in concessioni pubbliche a privati che vendono o sprecano la migliore acqua potabile italiana? Siamo un case histor, terzi consumatori al mondo dopo Emirati Arabi e Messico, e continuiamo ad occuparci solo del 20% scarso di acqua che arriva a casa, lasciando che l'80% finisca gratis persino a raffreddare impianti industriali?
La terza. Se considero un errore mortale demonizzare ogni gestione pubblica, l'esaltazione acritica e a prescindere della ripubblicizzazione non è il suo doppio?
La quarta. Chi sono i veri sabotatori del referendum se non i suoi equivoci e i protagonisti della sua rimozione che ha unito per mesi l'intera politica nazionale? Il popolo parlò chiaro ma, se non ricordo male, Niki Vendola fu il primo, secondo me con coraggio e realismo, a mettere in sicurezza dopo il voto l'Acquedotto Pugliese per non "cadere nel burrone della demagogia", proteggendo il 7% in tariffa per continuare a pagare gli interessi alla Merryl Lync, e ad investire esattamente come fanno da anni altre aziende in altre Regioni, producendo gli stessi utili che finiscono in grandissima parte negli investimenti o nel welfare dei Comuni. Il manifesto e Liberazione aprirono un po' di fuoco amico stigmatizzando anche la circostanza che l'Aqp rimane una Spa. Vendola chiede ora alla sua Autorità idrica di tagliare le tariffe senza ridurre cantieri e opere. Chi non approva? Spero trovi nei bilanci regionali le centinaia di milioni che occorrono per completare le opere previste, senza aumentare la voragine del debito pubblico e annunciare nuove tasse. Il guaio è che l'alternativa al ricorso al credito, reso possibile dal 7% abrogato che contiene banalmente anche i costi per interessi bancari che ormai volano oltre il 10%, ancora non c'è e se esiste si chiama Mamma Stato. Se Monti garantisse la copertura di tutti gli investimenti nella manovra finanziaria, magari riducendo spese militari e cancellando sprechi e ponti sullo Stretto, sarei la persona più felice del mondo. Finché non saremo a questo, bisogna fare i conti con la cruda realtà.
La quinta. Perché la chirurgica rimozione delle fognature e della depurazione, vera emergenza del ciclo idrico? Non è di sinistra fare i conti con la qualità del nostro ambiente, la nostra salute, l'equilibrio dell'ecosistema? Mi rendo conto che sarebbe complicato fondare un Forum mondiale per le fogne bene comune o firmare appelli per Sorella Fogna. Un depuratore non ha appeal, non fa identità né community. Però l'Unione europea già sanziona l'Italia e sta partendo una nuova raffica di procedure d'infrazione con multe salate per 820 aggregati comunali fuorilegge. È bene preoccuparsi perché abbiamo record negativi da territori arretrati o in via di sviluppo.
Ecco su cosa vorrei si concentrassimo, cercando molto concretamente le soluzioni più avanzate e realistiche.
* Presidente di Publiacqua Firenze

Fonte: Il Manifesto - articolo di Erasmo D'Angelis- 18-01-2012

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