È così che, con grande ritardo, abbiamo scoperto l'“acqua calda”, ovvero che in parte del Paese c'è un problema legato alla qualità dell'acqua distribuita nella rete acquedottistica. In particolare, c'è una concentrazione di arsenico superiore a quanto consentito per legge, ovvero ai 10 milligrammi per litro, come stabilisce il decreto 31 del 2001. Finalmente, l'Unione europea ci permette di elencare -nel dettaglio- i nomi dei Comuni sottoposti a deroga (nell'allegato 1) e ci permette di fare due conti su quanti italiani ci vivono (poco più di un milione di persone), limitando la portata denigratoria dei messaggi diffusi dalle aziende delle acqueminerali (“l'acqua del rubinetto può essere erogata anche se non rispetta i parametri di legge, perché beneficia di un sistema di deroghe”, secondo l'ultimo messaggio istituzionale di Mineracqua, che noi di Ae abbiamo segnalato all'Antitrust, per capire se ci sono gli estremi per un intervento per pubblicità ingannevole).
Adesso che l'Ue ha bocciato la domanda di rinnovo della deroga per il terzo triennio consecutivo, si pone necessariamente una domanda: cosa è stato fatto, nel corso dei primi due trienni, per risolvere il problema? Perché il “problema” arsenico, che nella maggior parte dei casi è di origine naturale e non derivante da attività antropiche, può esser risolto. Per farlo, basta investire. Il governo, negli anni scorsi, ha addirittura stanziato finanziamenti a fondo perduto per “affrontare” la questione arsenico. La Regione Lombardia, tra le altre, ha avuto accesso a questi fondi, messi a disposizione delle aziende che gestiscono gli acquedotti dopo aver sottoscritto un Accordo quadro con lo Stato. In Lombardia, come spiega Giancarlo Peterlongo, direttore del settore acquedotti di Amiacque (ex Cap) il problema è stato in larga parte risolto (solo 8 Comuni, per 25mila abitanti, sono stati “bocciati” dall'Ue per aver chiesto il terzo rinnovo della deroga): “I soldi sono arrivati dallo Stato. Le Asl hanno segnalato le situazioni critiche, e i gestori sono stati tutti interpellati. Per noi, nel lodigiano è stato facile, nel pavese un po' meno. Abbiamo aperto nuovi pozzi, realizzato impianti di ossidazione per l'arsenico. Nel Lazio, in Toscana, in zone vulcaniche, forse l'arsenico è presente in maggiori concentrazioni. Però mi risulta che l'Unione europea concedesse le deroghe solo a fronte di progetti, solo documentando la pianificazione delle opere necessarie a risolvere il problema”.
Sarebbe bastato investire, quindi -e lo descrive in modo chiaro il dossier Acque potabili, il pasticcio delle deroghe, che Legambiente ha reso pubblico il 24 novembre-: “Le deroghe [devono essere considerate] come uno strumento finalizzato alla soluzione dei problemi di contaminazione. Per questo, una volta ottenute, è necessario mettere in campo tutti gli interventi utili a tornare il prima possibile a distribuire acqua potabile e di buona qualità […]”. Legambiente, nel dossier, fa l'esempio dei Comuni (117, per 1.049.844 abitanti) che hanno ottenuto il rinnovo della deroga (8 per l'arsenico, 17 per il boro, 92 per il fluoruro): “Obiettivi che -scrive l'organizzazione ambientalista- dovranno essere ottenuti nei prossimi mesi, come si vede nel termine della deroga stessa” cui Legambiente ha avuto accesso.
Tra i gestori che hanno quantificato il volume degli interventi necessari per rientrare della deroga in merito al fluoruro c'è Acea, gestore a Roma e provincia (in deroga 17 Comuni, per un totale di 145mila abitanti). Sono oltre 33 milioni di euro, per un intervento che dovrà concludersi entro il 2012. La stessa azienda, però, è fuorilegge per quanto riguarda l'arsenico. In 22 Comuni, dove vivono 252mila persone. Quanto avrebbe dovuto investire Acea, negli ultimi sei anni, per rientrare nei limiti? Non lo sappiamo, ma possiamo fare un po' di conti in tasca all'azienda, ex municipalizzato del Comune di Roma, oggi quotata in Borsa. Gli azionisti di riferimento sono, oltre all'amministrazione comunale (51%), Francesco Gaetano Caltagirone (12,993%) e Gdf Suez (10,024%). Negli ultimi anni, quando avrebbe dovuto intervenire per il problema arsenico a Roma (ma anche in altri Ambiti territoriali ottimali gestiti direttamente o attraverso società controllate) l'azienda ha distribuito dividendi per 0,19 euro per azione (2004), 0,378 (2005), 0,47 (2006), 0,54 (2007), 0,62 (2008), 0,657 (2009). Nei primi nove mesi del 2010 ha registro oltre 110 milioni di euro di utili. Ed è la stessa azienda che non è stata in grado di risolvere il problema arsenico, come "spiega" il caso Velletri, analizzato in fondo a quest'articolo.
Viene il dubbio che 3 o 6 anni la deroga non venisse concessa in cambio di un programma d'investimenti per “rimediare”. Il dubbio lo conferma il ministro della Salute Ferruccio Fazio, che interrogato il 24 novembre alla Camera dei deputati dall'onorevole Armando Dionisi dell'Udc, ha fatto orecchie da mercante. Come se il problema non fosse di sua competenza. Come se, dal 2003 ad oggi, non fosse stato possibile intervenire. Come se non fosse stato il suo ministero, “con lettera del 2 febbraio 2010 l'Italia [a chiedere] una terza deroga per alcune forniture di acqua nelle regioni Campania, Lazio, Lombardia, Toscana, Trentino-Alto Adige e Umbria. La richiesta di deroga riguarda il parametro dell'arsenico per valori di 20, 30, 40 e 50 μg/l, il parametro del borio per valori di 2 e 3 mg/l e il parametro del fluoruro per valori di 2,5 mg/l.”: “Ricordo in via preliminare che le funzioni inerenti alla gestione dell'acqua potabile sono attribuite dalla normativa vigente alle autorità locali e la competenza residua del Governo e del Ministero della salute è limitata soltanto alla fissazione di eventuali valori di deroga”, ha esordito il ministro alla Camera, scaricando su altri le responsabilità; “devo dire da questo punto di vista che le regioni si sono adoperate -anche con rilevanti impegni economici- ad avviare ogni iniziativa per cercare di risolvere il problema. Ad oggi, a seguito della nota direttiva della Commissione europea, ci sono alcune situazioni di non conformità che sono rientrate nel limite previsto dalla direttiva del 1998 a seguito degli interventi fatti nel frattempo e, invece, alcune situazioni di non conformità che stanno rientrando entro 20 milligrammi”, ha continuato, e questo è vero, come dimostra l'esempio lombardo che abbiamo raccontato. “Dunque, le iniziative del Ministero sono la collaborazione con le Regioni volta a stabilire programmi di attuazione relativi o alla installazione di dearsenificatori o alla richiesta di deroghe alla Unione europea, nonché altri interventi atti a garantire a tutti i cittadini italiani un approvvigionamento idrico adeguato”. La richiesta di nuove deroghe, una soluzione all'italiana che solo una pressante azione di lobby permetterà di far digerire a Bruxelles: “C'è stata una sottovalutazione del problema in linea generale -sottolinea Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente-. I funzionari italiani non s'erano letti la legge, perché sia la norma europea (98/83/CE) che quella italiana di recepimento (31/2001) dicono che la terza deroga deve avere l'approvazione dell'Ue. C'è stata inadempienza, e una sottovalutazione grave di un iter ben definito, che a un certo punto prevedeva un passaggio formale. Stiamo parlando di questioni legate alla salute dei cittadini. Chi doveva controllare l'attuazione del piano d'intervento, non lo ha fatto. Il cronoprogramma dell'intervento è stato presentato al ministero della Salute, che deve validarne la parte sanitaria. Le Regioni, invece, non hanno fatto i controlli nei confronti dei gestori. L'omissione è del gestore, delle Regioni, del ministero della Salute. È inaccettabile -conclude Ciafani- che Fazio dica 'Non lo sapevamo'”.
Lo sapevano eccome, invece, alcuni cittadini di Velletri (Roma), riuniti nel locale Comitato acqua pubblica. Alla qualità dell'acqua è dedicato un intero capitale del loro “libro nero delle acque” (nell'allegato 2), presentato a inizio novembre, nel quale fanno il punto sulle omissioni di Acea Ato2, una controllata di Acea, gestore del servizio idrico integrato nella cittadina laziale di 53mila abitanti: “La città di Velletri -come buona parte della provincia di Roma, capitale esclusa- è soggetta ad alti tassi di metalli pesanti nell'acqua distribuita per uso umano. In particolare esiste un superamento dei valori di legge per l'Arsenico, il Vanadio e il Fluoro. L'intossicazione cronica -ovvero l'assunzione anche a minime dosi per lunghi periodi di tempo- dell'Arsenico è una delle più conosciute cause di diversi tumori -scrive il Comitato-. Attualmente il limite di legge è di 10 microgramnmi litro, ma l'Oms e l'Unione europea stanno valutando la riduzione ulteriore di questo limite, portandolo a cifre vicine allo zero. Si tratta di un principio precauzionale assolutamente condivisibile. Ci troviamo di fronte ad una vera emergenza ambientale e sanitaria, che mostra con chiarezza come la politica delle deroghe serva solo a coprire il problema. I dati mostrano poi una evidente inadempienza da parte di Acea rispetto al programma di interventi che aveva presentato alla Regione nel 2008, quando ha chiesto ed ottenuto il decreto di deroga ai limiti di legge. Nel documento il programma di interventi prevedeva di risolvere il problema dell’arsenico in buona parte entro il 2009. L’unico intervento previsto per il 2010 riguarda il pozzo di San Pietro.
Il potabilizzatore per la 167, ad esempio, doveva essere terminato sei mesi fa; la potabilizzazione dei
pozzi di colle dei Marmi e gli interventi sul pozzo Poggidoro e sulla rete Vascucce dovevano -secondo il piano di Acea- essere consegnati alla fine dello scorso anno. Delle due una -conclude il dossier-: o gli interventi indicati sono stati realizzati e questo significa che non risolveranno il problema dell’arsenico, oppure le promesse sono rimaste sulla carta”.
Adesso che l'Ue ha bocciato la domanda di rinnovo della deroga per il terzo triennio consecutivo, si pone necessariamente una domanda: cosa è stato fatto, nel corso dei primi due trienni, per risolvere il problema? Perché il “problema” arsenico, che nella maggior parte dei casi è di origine naturale e non derivante da attività antropiche, può esser risolto. Per farlo, basta investire. Il governo, negli anni scorsi, ha addirittura stanziato finanziamenti a fondo perduto per “affrontare” la questione arsenico. La Regione Lombardia, tra le altre, ha avuto accesso a questi fondi, messi a disposizione delle aziende che gestiscono gli acquedotti dopo aver sottoscritto un Accordo quadro con lo Stato. In Lombardia, come spiega Giancarlo Peterlongo, direttore del settore acquedotti di Amiacque (ex Cap) il problema è stato in larga parte risolto (solo 8 Comuni, per 25mila abitanti, sono stati “bocciati” dall'Ue per aver chiesto il terzo rinnovo della deroga): “I soldi sono arrivati dallo Stato. Le Asl hanno segnalato le situazioni critiche, e i gestori sono stati tutti interpellati. Per noi, nel lodigiano è stato facile, nel pavese un po' meno. Abbiamo aperto nuovi pozzi, realizzato impianti di ossidazione per l'arsenico. Nel Lazio, in Toscana, in zone vulcaniche, forse l'arsenico è presente in maggiori concentrazioni. Però mi risulta che l'Unione europea concedesse le deroghe solo a fronte di progetti, solo documentando la pianificazione delle opere necessarie a risolvere il problema”.
Sarebbe bastato investire, quindi -e lo descrive in modo chiaro il dossier Acque potabili, il pasticcio delle deroghe, che Legambiente ha reso pubblico il 24 novembre-: “Le deroghe [devono essere considerate] come uno strumento finalizzato alla soluzione dei problemi di contaminazione. Per questo, una volta ottenute, è necessario mettere in campo tutti gli interventi utili a tornare il prima possibile a distribuire acqua potabile e di buona qualità […]”. Legambiente, nel dossier, fa l'esempio dei Comuni (117, per 1.049.844 abitanti) che hanno ottenuto il rinnovo della deroga (8 per l'arsenico, 17 per il boro, 92 per il fluoruro): “Obiettivi che -scrive l'organizzazione ambientalista- dovranno essere ottenuti nei prossimi mesi, come si vede nel termine della deroga stessa” cui Legambiente ha avuto accesso.
Tra i gestori che hanno quantificato il volume degli interventi necessari per rientrare della deroga in merito al fluoruro c'è Acea, gestore a Roma e provincia (in deroga 17 Comuni, per un totale di 145mila abitanti). Sono oltre 33 milioni di euro, per un intervento che dovrà concludersi entro il 2012. La stessa azienda, però, è fuorilegge per quanto riguarda l'arsenico. In 22 Comuni, dove vivono 252mila persone. Quanto avrebbe dovuto investire Acea, negli ultimi sei anni, per rientrare nei limiti? Non lo sappiamo, ma possiamo fare un po' di conti in tasca all'azienda, ex municipalizzato del Comune di Roma, oggi quotata in Borsa. Gli azionisti di riferimento sono, oltre all'amministrazione comunale (51%), Francesco Gaetano Caltagirone (12,993%) e Gdf Suez (10,024%). Negli ultimi anni, quando avrebbe dovuto intervenire per il problema arsenico a Roma (ma anche in altri Ambiti territoriali ottimali gestiti direttamente o attraverso società controllate) l'azienda ha distribuito dividendi per 0,19 euro per azione (2004), 0,378 (2005), 0,47 (2006), 0,54 (2007), 0,62 (2008), 0,657 (2009). Nei primi nove mesi del 2010 ha registro oltre 110 milioni di euro di utili. Ed è la stessa azienda che non è stata in grado di risolvere il problema arsenico, come "spiega" il caso Velletri, analizzato in fondo a quest'articolo.
Viene il dubbio che 3 o 6 anni la deroga non venisse concessa in cambio di un programma d'investimenti per “rimediare”. Il dubbio lo conferma il ministro della Salute Ferruccio Fazio, che interrogato il 24 novembre alla Camera dei deputati dall'onorevole Armando Dionisi dell'Udc, ha fatto orecchie da mercante. Come se il problema non fosse di sua competenza. Come se, dal 2003 ad oggi, non fosse stato possibile intervenire. Come se non fosse stato il suo ministero, “con lettera del 2 febbraio 2010 l'Italia [a chiedere] una terza deroga per alcune forniture di acqua nelle regioni Campania, Lazio, Lombardia, Toscana, Trentino-Alto Adige e Umbria. La richiesta di deroga riguarda il parametro dell'arsenico per valori di 20, 30, 40 e 50 μg/l, il parametro del borio per valori di 2 e 3 mg/l e il parametro del fluoruro per valori di 2,5 mg/l.”: “Ricordo in via preliminare che le funzioni inerenti alla gestione dell'acqua potabile sono attribuite dalla normativa vigente alle autorità locali e la competenza residua del Governo e del Ministero della salute è limitata soltanto alla fissazione di eventuali valori di deroga”, ha esordito il ministro alla Camera, scaricando su altri le responsabilità; “devo dire da questo punto di vista che le regioni si sono adoperate -anche con rilevanti impegni economici- ad avviare ogni iniziativa per cercare di risolvere il problema. Ad oggi, a seguito della nota direttiva della Commissione europea, ci sono alcune situazioni di non conformità che sono rientrate nel limite previsto dalla direttiva del 1998 a seguito degli interventi fatti nel frattempo e, invece, alcune situazioni di non conformità che stanno rientrando entro 20 milligrammi”, ha continuato, e questo è vero, come dimostra l'esempio lombardo che abbiamo raccontato. “Dunque, le iniziative del Ministero sono la collaborazione con le Regioni volta a stabilire programmi di attuazione relativi o alla installazione di dearsenificatori o alla richiesta di deroghe alla Unione europea, nonché altri interventi atti a garantire a tutti i cittadini italiani un approvvigionamento idrico adeguato”. La richiesta di nuove deroghe, una soluzione all'italiana che solo una pressante azione di lobby permetterà di far digerire a Bruxelles: “C'è stata una sottovalutazione del problema in linea generale -sottolinea Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente-. I funzionari italiani non s'erano letti la legge, perché sia la norma europea (98/83/CE) che quella italiana di recepimento (31/2001) dicono che la terza deroga deve avere l'approvazione dell'Ue. C'è stata inadempienza, e una sottovalutazione grave di un iter ben definito, che a un certo punto prevedeva un passaggio formale. Stiamo parlando di questioni legate alla salute dei cittadini. Chi doveva controllare l'attuazione del piano d'intervento, non lo ha fatto. Il cronoprogramma dell'intervento è stato presentato al ministero della Salute, che deve validarne la parte sanitaria. Le Regioni, invece, non hanno fatto i controlli nei confronti dei gestori. L'omissione è del gestore, delle Regioni, del ministero della Salute. È inaccettabile -conclude Ciafani- che Fazio dica 'Non lo sapevamo'”.
Lo sapevano eccome, invece, alcuni cittadini di Velletri (Roma), riuniti nel locale Comitato acqua pubblica. Alla qualità dell'acqua è dedicato un intero capitale del loro “libro nero delle acque” (nell'allegato 2), presentato a inizio novembre, nel quale fanno il punto sulle omissioni di Acea Ato2, una controllata di Acea, gestore del servizio idrico integrato nella cittadina laziale di 53mila abitanti: “La città di Velletri -come buona parte della provincia di Roma, capitale esclusa- è soggetta ad alti tassi di metalli pesanti nell'acqua distribuita per uso umano. In particolare esiste un superamento dei valori di legge per l'Arsenico, il Vanadio e il Fluoro. L'intossicazione cronica -ovvero l'assunzione anche a minime dosi per lunghi periodi di tempo- dell'Arsenico è una delle più conosciute cause di diversi tumori -scrive il Comitato-. Attualmente il limite di legge è di 10 microgramnmi litro, ma l'Oms e l'Unione europea stanno valutando la riduzione ulteriore di questo limite, portandolo a cifre vicine allo zero. Si tratta di un principio precauzionale assolutamente condivisibile. Ci troviamo di fronte ad una vera emergenza ambientale e sanitaria, che mostra con chiarezza come la politica delle deroghe serva solo a coprire il problema. I dati mostrano poi una evidente inadempienza da parte di Acea rispetto al programma di interventi che aveva presentato alla Regione nel 2008, quando ha chiesto ed ottenuto il decreto di deroga ai limiti di legge. Nel documento il programma di interventi prevedeva di risolvere il problema dell’arsenico in buona parte entro il 2009. L’unico intervento previsto per il 2010 riguarda il pozzo di San Pietro.
Il potabilizzatore per la 167, ad esempio, doveva essere terminato sei mesi fa; la potabilizzazione dei
pozzi di colle dei Marmi e gli interventi sul pozzo Poggidoro e sulla rete Vascucce dovevano -secondo il piano di Acea- essere consegnati alla fine dello scorso anno. Delle due una -conclude il dossier-: o gli interventi indicati sono stati realizzati e questo significa che non risolveranno il problema dell’arsenico, oppure le promesse sono rimaste sulla carta”.
Fonte: Altreconomia -articolo di Luca Martinelli - 25 novembre 2010
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