lunedì 21 novembre 2011

Alluvioni e bacini idrografici di Giorgio Nebbia

La recente tragedia che ha colpito la Liguria e la Toscana ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica, oltre alla zona ligure costiera delle Cinque Terre, ben note per le loro bellezze e attrattive turistiche, due fiumi di cui si parla ben poco, il (o la) Magra e il (o la) Vara. (Non so mai di sicuro se i fiumi sono maschili o femminili). La Magra scorre in una stretta valle, la Lunigiana, che comincia al confine fra Emilia e Toscana e, dopo aver ricevuto le acque di numerosi torrenti, tutti toscani, attraversa le città di Pontremoli, Villafranca, Aulla, Santo Stefano Magra, allargandosi sempre più a mano a mano che aumenta l’acqua trasportata.

A Santo Stefano Magra riceve le acque della Vara che, nata al confine fra Liguria e Emilia, scorre anch’essa in una stretta valle, tutta in Liguria, dopo aver attraversato varie cittadine, fra cui Borghetto Vara, di cui abbiamo visto la devastazione, con le strade coperte di fango. Adesso uniti, i due fiumi arrivano al mare al confine fra Liguria e Toscana, passando da Ameglia, altro paese alluvionato. I piccoli borghi medievali sorti lungo i due fiumi sono diventati cittadine con costruzioni che si sono avvicinate al greto del fiume; il greto dei due fiumi è stato scavato per anni per ottenere la sabbia usata come materiale di costruzione delle autostrade che collegano la Toscana con la Liguria e l’Emilia.

Nelle valli dei due fiumi, abitate da gente intraprendente e operosa, si sono moltiplicate attività agricole e industriali dall’escavazione, lavorazione e trasporto del marmo del bacino apuano, a fabbriche di esplosivi e di armi a centrali idroelettriche. Tutto ciò ha modificato le valli nel bene e nel male: più lavoro, ma anche tagli dei boschi, poca manutenzione e pulizia del corso dei numerosi torrenti che scendono dalle ripide valli nei due fiumi principali. Le conseguenze si sono viste nei giorni scorsi con la massa di acqua e fango e detriti che ha colpito Borghetto, Aulla e altri paesi; ancora una volta la solidarietà di singoli volontari ha aiutato le persone sommerse dal fango.

La causa del nuovo disastro va cercata sia nei mutamenti climatici, che senza dubbio provocano intense improvvise piogge, sia nel fatto che valli e fiumi d’Italia sono diventati incapaci di accogliere le acque di tali piogge. Vara e Magra e i relativi affluenti sono un solo grande bacino idrografico, un solo grande organismo vivente, anche se si estendono in due diverse Regioni, Toscana e Liguria, e in due diverse province, La Spezia e Massa Carrara. L’esperienza mostra che la responsabilità della difesa del suolo e della prevenzione in ciascun bacino idrografico deve essere unitaria per quanto riguarda i piani regolatori, i prelievi di acqua e di ghiaia, gli sbarramenti, la pulizia degli alvei.

Conscio di questa necessità, nel 1989 il Parlamento approvò con larga condivisione una legge sulla difesa del suolo secondo cui la vera unità per l’amministrazione del territorio, al fine di prevenire frane e alluvioni, doveva essere il bacino idrografico, definito come il territorio, con confini geografici ben precisi, rappresentati dagli spartiacque, che comprende un fiume e tutti in suoi affluenti, dai piccoli torrenti, ai solitari fossi, fino al fiume principale. In ciascun bacino idrografico si muovono le acque dalle montagne alle valli e poi al mare; nel bacino idrografico i prodotti dell'erosione del suolo e gli agenti inquinanti vengono trascinati dagli affluenti nel fiume principale e poi nel mare. Nel bacino idrografico la presenza di boschi, campi coltivati, allevamenti zootecnici, la presenza di paesi e città e industrie, influenza il movimento delle acque sul suolo e la qualità delle acque.

Se si dovesse seguire il buon senso, i confini politici di un territorio dovrebbero identificarsi con gli spartiacque e il territorio di ciascuna unità amministrativa dovrebbe coincidere con la
superficie dei bacini idrografici. In realtà non è così; i confini delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane non coincidono quasi mai con quelli dei bacini idrografici. Si pensi al bacino idrografico interregionale dell'Ofanto che si estende dalla Campania alla Basilicata, alla Puglia, un vasto importante territorio che comprende industrie, inceneritori, attività agricole e soprattutto tante terre erose. Un altro caso vicino a noi è quello del bacino interregionale del Fortore. La legge 183 del 1989 stabiliva che “sopra” ogni bacino idrografico doveva funzionare una “autorità di bacino”, responsabile della pianificazione degli interventi e della prevenzione, che avrebbe dovuto agire come punto di incontro per superare gli interessi contrastanti delle autorità amministrative locali.

Il progetto lungimirante è fallito, la legge è stata sostituita da altri provvedimenti; le autorità di bacino, nella maggior parte dei casi non hanno svolto adeguatamente le funzioni per cui erano state pensate: quella di tenere sotto controllo quanto avviene in un bacino e di impedire attività e costruzioni che impediscono alle acque di scorrere senza ostacoli verso il mare, cioè di svolgere le funzioni che la natura ha attribuito alle acque. Erosione, frane, alluvioni, siccità, e i conseguenti dolori e morti, sono i figli di questo tradimento della geografia e dell’ecologia. E lo si vede.

Fonte: Pubblicato su “La Gazzetta del Mezzogiorno” martedì 1 novembre 2011

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