mercoledì 24 febbraio 2010

Il Lambro diventa un fiume di gasolio

Nel fiume 10 milioni di litri, pari a 670 autocisterne. L’ipotesi: sabotaggio. Allarme anche per la fauna

Un germano vittima del gasolio (Ansa)
Un germano vittima del gasolio (Ansa)
MILANO — Dalla prima all’ultima nera, enorme e pesante goccia, in serata spintasi a Lodi e in nottata scivolata fino al Po, per tante ore è corso un fronte di una quarantina di chilometri. Il fiume Lambro ne conta non molti di più: 130. E più d’un ambientalista, davanti agli almeno 10 milioni di litri di olio combustibile e gasolio volutamente —sull’atto doloso i dubbi degli inquirenti sono minimi—buttati in acqua, nella notte tra lunedì e ieri, dalle cisterne di una vecchia raffineria sulle rive monzesi, più d’uno, si diceva, davanti al fronte nero ha chiuso il capitolo: «Il Lambro è morto». Il nome Lambro vuol dire chiaro. Già immondezzaio grazie agli scarichi industriali di (così certificava nel ’96 il Cnr) azoto, fosforo, nichel, piombo, arsenico e cadmio, ecologisti e cittadini avevano provato, con pulizie (una volta fu rinvenuta una cassaforte) e con pazienza a rianimarlo. Insomma, a farlo sembrare un fiume.

Petrolio nel Lambro
Petrolio nel Lambro Petrolio nel Lambro Petrolio nel Lambro Petrolio nel Lambro Petrolio nel Lambro Petrolio nel Lambro Petrolio nel Lambro

E invece danni per milioni, uno stato di calamità naturale che verrà chiesto a breve, il depuratore di Monza danneggiato e fuori uso forse per settimane (gli scarichi fognari saranno dirottati sempre nel Lambro), i primi animali già morti (anatre, qualche cittadino si è dannato per salvarle) e altri animali che moriranno più avanti («Devastato l’intero ecosistema, chi migrerà qui non avrà futuro »), lo stato di crisi attivato in Prefettura, centinaia di vigili del fuoco e uomini della Protezione civile lì sulle rive, la contraerea affidata a enormi spugne assorbenti e polveri gettate in acqua per provare a distruggere, quantomeno rimpicciolire, olio e gasolio che, per far capire, riempirebbero 670 autocisterne parcheggiate una dopo l’altra. Ci sono tutte queste cose ma, a monte, c’è l’inchiesta, c’è il mistero, c’è la ditta.

La ditta si chiama Lombarda Petroli, ha sede a Villasanta, appunto a ridosso di Monza. In realtà era una raffineria; oggi funge da deposito. C’erano decine di operai, ne son rimasti 17, e di questi, dopo l’estate, sono andati in cassintegrazione 12. Le cisterne aperte sono state tre. La ditta ha fornito, con ritardo, soltanto nel tardo pomeriggio, i numeri della capienza delle cisterne, capienze peraltro da rispettare per legge. I conti però non tornano. I 2.500 metri cubi comunicati dalla Lombarda Petroli sono stati superati, e di molto. L’altra notte, l’unico dipendente presente, il guardiano, ha riferito che fin quando era di turno, le 3.30, non ha visto nessuno. L’accesso alle cisterne sarebbe da collocare non prima delle 4. La scoperta, attorno alle 7.30, quando in azienda sono arrivati gli altri operai. C’è una telecamera, all’ingresso. L’intero perimetro di cinta, che si sviluppa per chilometri, presenta brecce e varchi in più punti. Per far fuoriuscire olio e petrolio, c’è voluta una mano esperta. Bisogna azzeccare combinazioni di valvole e valvoline. «È come un labirinto. Se ti perdi subito, non ti ritrovi più» ha detto uno degli investigatori della polizia provinciale di Monza, che conduce le indagini. A guidarla, Gennaro Caravella, 58 anni. Ma poi, se il movente fosse da ricercare altrove? A chi interessa screditare l’azienda? La Lombarda Petroli, per medesima e datata ammissione dei suoi vertici, procede rapida verso la completa dismissione. Chi arriverà dopo in questa area? Se sì, cosa si costruirà?

Il presidente della Provincia di Monza Dario Allevi e Dante Pellicano, comandante dei vigili del fuoco, hanno visto il fiume dall’alto, in elicottero (Allevi giurava: «Troveremo i colpevoli e saranno puniti per questo scempio»). È stato un viaggio che non finiva più. Olio e gasolio, una volta immessi nel fiume, si sono ingrossati e ingrassati, si sono allungati. Monza, Milano, Melegnano, San Zenone, e via via. La rabbia di Legambiente: «Era un’azienda a rischio. Gli amministratori lo sapevano. Ma ci si è mossi tardi». «Nessun rischio per le persone » si sono affrettati in molti a dire. Un tecnico ha spiegato: «Di olio e gasolio, la metà finirà per ancorarsi al fondo. Ci vorranno decenni, per toglierli. Ma nessuno può dirci gli effetti dei veleni che si sono depositati e si stratificheranno su prati, strade, quartieri attorno al Lambro ».

Fonte: Corriere.it - Andrea Galli 24 febbraio 2010

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