ADESSO È TUTTO LÌ, nelle vasche del depuratore di San Rocco che sta funzionando da polmone per filtrare il più possibile le acque contaminate. Sono state convogliate dalla rete fognaria lungo la quale sono stati chiusi i canali di sfogo per evitare che gli idrocarburi possano fuoriuscire nel Lambro come invece è successo nelle prime ore della mattinata di ieri prima che scattasse l’allarme ambientale. L’ultimo sfioratore è a poco più di cento metri dal depuratore. Questo ha permesso di salvare il Parco e il centro di Monza dalla contaminazione.
Nella sede dell’impianto, in via Fermi, è un continuo via vai di mezzi. È stato allestito un presidio permanente per gestire l’emergenza e che verrà mantenuto per le prossime 48-72 ore. In particolare, la strategia dei tecnici di Alsi (proprietaria del depuratore) e di Brianzacque (gestore dell’impianto) è quella di trattenere il più possibile il fiume di liquami contaminato all’interno delle vasche, tenendo conto che un litro d’acqua per uscire dal depuratore impiega 12 ore di trattamenti. L’attività, dunque, è stata fermata per permettere di smaltire il più possibile. Da Villasanta la rete fognaria si immette nel depuratore dal collettore Est: il liquame contaminato entra nel cosiddetto impianto di ingresso per un primo trattamento di dissabbiatura e disoliatura, quindi viene passato nelle vasche di scolimentazione primaria.
È lì che viene stoccato ed è da lì che, spiegano i tecnici di Brianzacque, dobbiamo ripescarlo, per rimanere nei limiti di capacità di trattamento del depuratore.
IN OGNI CASO, all’uscita del collettore del depuratore, a San Maurizio al Lambro, si sono posizionati i Vigili del fuoco con degli speciali «salsicciotti» gonfiabili oleoassorbenti per catturare gli inevitabili residui di idrocarburi dopo la depurazione. D’altronde l’impianto tratta abitualmente 200mila metri cubi di liquami al giorno (equivalenti a una popolazione di circa 700mila abitanti), tuttavia non è prevista la presenza in così grande quantità di olii pesanti. E per questo «i danni al depuratore sono ingenti anche se non ancora quantificabili perché attualmente la nostra priorità è gestire l’emergenza», precisa il presidente di Brianzacque, Filippo Carimati.
«LE CONSEGUENZE potremo verificarle soltanto nelle prossime ore - spiega l’ingegnere Enrico Mariani, responsabile dell’impianto -. Sicuramente ci saranno danni al processo biologico di depurazione». «Soltanto quando sarà finita l’emergenza e avremo tutte le autorizzazioni del caso - aggiunge Carimati - potremo chiudere provvisoriamente l’impianto e procedere alla completa bonifica delle linee di trattamento e delle vasche».
«Un disastro immane, l’ecosistema del fiume ne risentirà per lunghi anni»
- MONZA —
DARIO ALLEVI è appena atterrato sul pratone all’ingresso del depuratore di San Rocco. Insieme con il comandante provinciale dei vigili del fuoco ha sorvolato il percorso del Lambro nella Provincia di Monza ma anche giù fino al Lodigiano. «Si vede nettamente una ininterrotta striscia nera in mezzo al metto del fiume - racconta il presidente della Provincia -. Il danno ambientale è enorme. Ora affrontiamo l’emergenza e attendiamo che la magistratura faccia il suo corso per punire questo atto ignobile compiuto da un pazzo criminale». Ma al di là dei responsabili, Allevi se la prende anche con la Lombarda Petroli, perché «non ci ha avvisato in tempo, pensando invece di risolvere il problema da sola». «Oltretutto - continua - risulta che i responsabili di Brianzacque e la polizia provinciale abbiano avuto difficoltà a entrare nell’area di Villasanta. Assurdo almeno quanto il fatto che non siano stati loro ad avvisarci ma se ne siano accorti al depuratore, quando ormai il danno era fatto». Resta pacato ma deciso: «Questa è una cosa grave su cui dovrà indagare la magistratura. Perché in casi come questo un minuto è preziosissimo». Anche Allevi pensa al «grande disastro ambientale» per il quale «stiamo pensando di chiedere che ci venga riconosciuto lo stato di emergenza». E «quando verranno accertate le responsabilità - perché questo è un disastro che non rimarrà senza colpevoli - siamo anche pronti a costituirci parte civile». Anche l’onorevole leghista Paolo Grimoldi chiede «che vengano stabilite in tempi padani le responsabilità, e intanto ho chiesto l’intervento del Viminale e ottenuto un incontro con il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Oltre al lavoro che sta già svolgendo la Protezione civile, faremo in modo che vengano attuate tutte le misure per contenere i danni».
IN PRIMA LINEA pure l’assessore provinciale alla Protezione civile, Luca Talice, e il collega all’Ambiente, Fabrizio Sala. Si sono mobilitati fin da subito, prima con la Protezione civile locale, poi con quella regionale e nazionale. Contestualmente è stata avvisata la Prefettura, dove è stato attivato un centro di coordinamento dei soccorsi in stretto collegamento anche con le prefetture degli altri Comuni interessati dall’emergenza compresa l’Autorità di bacino del Po. La chiazza di idrocarburi ha passato la Provincia di Milano, quella di Lodi per arrivare fino al Piacentino. Da fare luce anche sulla posizione della Lombarda Petroli rispetto alla Direttiva Seveso: «Prima risultava come azienda con rischio 8, alto - spiega l’assessore regionale all’Ambiente, Massimo Ponzoni -, ma nel febbraio del 2009 ci ha comunicato di voler chiudere e di non rientrare più nella Direttiva Seveso. Quindi avrebbe dovuto smantellare ogni cosa e comunque non stoccare più di 2.500 metri cubi di gasolio».
Secondo le prime ricostruzioni, invece, i metri cubi sarebbero superiori. Anche Gianni Confalonieri, coordinatore regionale di Sinistra ecologia e libertà, si chiede «come può una raffineria dismessa essere lasciata con i serbatoi pieni».
Un episodio che comunque «dimostra la fragilità del nostro territorio», le parole di Enrico Brambilla (segretario provinciale del Pd) e Gigi Ponti (capogruppo Pd in Provincia). «C’è bisogno di iniziative preventive - dicono - che la Provincia deve mettere in atto, rafforzando la tutela del territorio per alleggerire la pressione a cui sono sottoposti non solo il Lambro ma anche il Seveso e il Molgora».
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