Milano, 9
luglio 2013
Comunicato stampa
Non c’è pace per i comuni brianzoli che nel 1976 furono investiti dal più grave disastro chimico della storia recente: in arrivo un nuovo disastro, e oggi come allora per la Regione non c’è nessun problema
Quella del 10 luglio 1976 è una data scolpita nella memoria degli abitanti di cinque popolose cittadine brianzole (Bovisio Masciago, Cesano Maderno, Desio, Meda e Seveso: una conurbazione che conta quasi 150.000 abitanti, quanto la terza città della Lombardia) che, dalle 12.37 di quel giorno, furono investite dalla nube tossica prodotta dal surriscaldamento di un reattore per la produzione di triclorofenolo della ditta ICMESA di Meda, una controllata del gruppo Hoffmann-La Roche di Basilea. A causa di quel surriscaldamento la reazione chimica sfuggì di controllo e produsse una quantità tutt’ora imprecisata di TCDD, la più tossica delle diossine.
Se ancora oggi non sappiamo con esattezza la quantità di sostanza tossica che fu riversata su case e campi, quello che invece è certo è che quella diossina non si è spostata da lì: a ribadirlo sono le analisi preliminari dei terreni effettuate dalla società autostradale Pedemontana nel 2008, che confermando esiti analoghi ottenuti da analisi condotte dall'agenzia per la protezione dell'ambiente fra il 1997 e il 1999, certificano concentrazioni di TCDD superiori alle soglie critiche tollerate nei terreni di quelle che nel 1976 furono dichiarate “zona B” e “aree di rispetto” (la zona A, nei comuni di Seveso e Meda immediatamente sottovento al reattore, è l'unica ad essere stata bonificata e oggi vi crescono gli alberi del parco naturale “Bosco delle Querce”). Le analisi dei terreni sono state effettuate per una ragione ben precisa: nel cuore della grande area inquinata presto dovrebbero partire a breve i cantieri della più gigantesca autostradale prevista in Lombardia, la Pedemontana. E la speranza che la diossina, dopo un così lungo periodo, fosse scomparsa, decomposta o dissolta, è stata duramente smentita dai risultati di quelle analisi. Ancora oggi il suolo di quel territorio risulta gravemente contaminato, e l’unica ragione per cui fino ad oggi non si è riproposta un’emergenza sanitaria è per il fatto che le molecole tossiche sono intrappolate negli strati superiori del terreno.
Ma che ne sarà della diossina nel momento in cui dovessero partire i cantieri di Pedemontana, che prevedono enormi sbancamenti di terreno per realizzare 8 corsie autostradali, giganteschi svincoli e stazioni di servizio proprio lungo il tracciato del fall-out della nube tossica? Semplice, quella diossina si solleverà per aria insieme alle polveri dei cantieri, tornando a essere un problema sanitario, in primo luogo per le maestranze impiegate nei cantieri e per i residenti dei quartieri vicini. Un grosso problema con cui però Regione Lombardia non ha molta voglia di confrontarsi: nei giorni scorsi infatti una mozione urgente presentata in Consiglio Regionale, circa la necessità di condurre un piano di caratterizzazione finalizzato alla bonifica delle aree interessate dal progetto autostradale, è stata respinta al mittente. Secondo Raffaele Cattaneo, presidente del Consiglio Regionale ma fino a pochi mesi fa assessore con delega ai trasporti e quindi principale promotore del progetto di Pedemontana, non c’è infatti nessuna urgenza di approfondire questi aspetti, per un’opera che ha problemi enormi anche sul versante della sostenibilità finanziaria, dal momento che il suo costo, vicino ai 5 miliardi di euro, ben difficilmente sarà coperto dai proventi della tariffa.
“La
storia
si ripete: nel 1976 i cittadini furono avvisati della gravità
del
pericolo solo otto giorni dopo l'incidente del gravissimo
inquinamento a cui
erano sottoposti, quando ormai le polveri tossiche si erano
deposte al suolo -
ricorda Damiano Di Simine, presidente
di Legambiente Lombardia, che all'epoca viveva nel cuore della
zona inquinata -
Fu così impossibile mettere in atto ogni possibile misura di
prevenzione
per evitare gli oltre 200 casi di cloracne, oltre al rischio di
malformazioni
fetali e di tumori negli adulti oggi descritti dagli studi
retrospettivi. Nel
2013 invece si arriva a negare, contro ogni evidenza, l'urgenza
di
caratterizzare i suoli e di verificare il progetto di
Pedemontana prima che la
parola passi alle ruspe del più grande cantiere della Lombardia.
Un
comportamento di gravissima irresponsabilità istituzionale,
contro il quale
chiediamo ai sindaci di mantenere un atteggiamento di fermezza
per la tutela della
salute, per evitare di dover sottoporre gli abitanti ad una
nuova emergenza
sanitaria”.
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