Bergamo, 8 Maggio 2019
Comunicato stampa
Legambiente: “Serve un
tavolo di regia che rimetta ordine in quello che è diventato un vero e proprio
Far West dell’agricoltura lombarda”
Presentato il dossier
"Il settore delle serre fisse e mobili in Regione Lombardia: le ragioni di
un’urgente riforma complessiva"
In Lombardia oltre 2300 ettari di
terreno agricolo sono ricoperti da serre. Nei soli territori delle province di
Mantova e Bergamo i numeri sono impressionanti: rispettivamente 968 e 800
ettari. Martinengo, in provincia di Bergamo, è tra i Comuni con la maggiore
estensione di serre della Lombardia. Il paese rappresenta una condizione
esemplare del fenomeno, esteso su tutta la regione, e sottolinea la gravità
dell’assenza di un registro che censisca l'effettiva estensione delle
coltivazioni, in costante crescita.
«L’impianto legislativo regionale,
per come è attualmente, ha consentito nel tempo una modifica esasperata e
incontrollata del paesaggio – dichiara Barbara Meggetto, presidente di
Legambiente Lombardia –. È necessario che vengano stabiliti rapporti di
copertura per le serre, sia fisse che stagionali e temporanee, fondati sulla
valutazione della capacità di carico sostenibile del territorio e sugli impatti
ambientali delle serre esistenti e di quelle potenzialmente insediabili. Serve
dunque un tavolo di regia che rimetta ordine in quello che è diventato un vero
e proprio Far West dell’agricoltura lombarda».
In Regione Lombardia le serre fisse e
le serre mobili, infatti, sono soggette a due differenti discipline normative,
ma con forti lacune dal punto di vista delle specifiche per una definizione
corretta dell’impiego di tali strutture. Il decreto legislativo 25 novembre
2016, n. 222 ha stabilito che le serre mobili stagionali senza strutture in
muratura sono da assoggettare al regime di edilizia libera, pertanto Oggi un
imprenditore agricolo può semplicemente notificare al Comune la conversione del
terreno agricolo a coltura in serra, senza avere bisogno di concessioni. In seguito
la delibera 7117/2017 ha aggiunto che i rapporti di copertura massimi possono
raggiungere il 70% della superficie aziendale per le serre stagionali, il 60%
per le serre temporanee.
Gli impatti dell’agricoltura
intensiva in serra sono molteplici e si declinano sia sul piano ambientale
che su quello economico-sociale. La struttura delle serre, con sue le coperture
in materiali plastici, rende impermeabile ettari di terreno agricolo,
rendendolo esposto a rischio idrogeologico in caso di forti fenomeni
atmosferici. In alcune zone si tratta di concentrazioni tali da non poter
distinguere dove inizia un appezzamento e dove finisce un altro, spesso
adiacenti all’abitato: una condizione potenzialmente pericolosa. Le tipologie
privilegiate, la cosiddetta quarta gamma, sono ortaggi a rapido ciclo, come per
esempio le insalate, per le quali si arriva fino a 13 cicli annui in serra. Per
consentire un complesso produttivo così intensivo, le coltivazioni sono
sottoposte all’uso di pesticidi, antiparassitari e antimicotici ad ogni
ciclo, un vero bombardamento chimico nel terreno. La conversione al
biologico in serra, infatti, rappresenta una percentuale molto esigua ad oggi,
prediligendo un sistema il cui prodotto finale è destinato all’avvio al
supermercato, dove i prezzi di vendita vengono stabiliti dalla GDO e i ricavi
per i coltivatori sono risicati. Per garantire la sostenibilità economica,
quindi, sono necessarie estensioni territoriali enormi e il ricorso a
manodopera non qualificata, spesso sottopagati. Come nel caso di Telgate,
dove un’intera comunità indiana e pachistana lavora nelle serre, e in paese si
è andato costituendo un ghetto etnico vero e proprio. Anche il valore delle
case risente dall’impatto di questo tipo di colture: il degrado ambientale e
paesaggistico è stato quantificato in una perdita di circa il 30% del valore
degli immobili nei comuni maggiormente interessati dal fenomeno.
«Ci
chiediamo se in una regione che si fregia di essere tra le più evolute, qual è
la Lombardia, sia accettabile un sistema normativo che lascia al produttore
l’arbitrio di scegliere processi produttivi così insostenibili, senza alcuna
programmazione, senza equilibro. Il rischio concreto è di ritrovarsi in tempi
brevi in scenari aberranti come a Gela, Ragusa, nella Piana del Sele, Almeria
in Spagna e Rotterdam, con distese di strutture impattanti e tonnellate di
cellophane a ricoprire il terreno»
sottolinea Paolo Falbo, presidente del circolo Legambiente Oglio-Serio.
Nel dossier “Il settore delle
serre fisse e mobili in Regione Lombardia: le ragioni di una (urgente) riforma
complessiva”, presentato in conferenza stampa a Bergamo, si evidenziano
i vizi normativi e gli interventi necessari, per evitare situazioni come quelle
ben descritte nelle immagini aeree presenti nel documento redatto da Paolo
Falbo e Fabio Turani. Alla conferenza stampa erano presenti la presidente di
Legambiente Lombardia Barbara Meggetto, il responsabile scientifico di
Legambiente Lombardia Damiano Di Simine, il presidente del circolo
Legambiente Oglio-Serio Paolo Falbo, il consigliere comunale di
Telgate e socio del circolo Legambiente Valcalepio Fabio Turani, Edoardo Bano del circolo Legambiente Oglio Serio e Patrizio Dolcini del circolo Legambiente Lomellina.
I destinatari delle proposte avanzate
dall’associazione ambientalista sono Regione Lombardia, in qualità di organo
legislatore perché venga riordinato il sistema normativo andando a colmare le
lacune esistenti in particolare sulla definizione di serre fisse e temporanee,
e i Comuni lombardi, perché effettuino un censimento di tutte le superfici
coperte e aggiornino lo strumento di pianificazione urbanistico, riducendo i
rapporti di copertura (attualmente al 40% della superficie aziendale) ad una
percentuale basata su una valutazione ambientale approfondita.
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