Milano, 11 novembre 2019
Comunicato stampa
“Operazioni di riqualificazione low cost in città e una campagna
disseminata di sexy shop, spa, uffici e residenze. A chi serve una legge così?”
Domani il Consiglio Regionale della
Lombardia voterà il progetto di Legge 83 “Misure di
semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale,
nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente”, che certamente si
prefigge finalità condivisibili: sempre meglio riqualificare aree urbane
abbandonate, piuttosto che consumare nuovo suolo per realizzare nuovi quartieri
e insediamenti. Peccato, però, che la Regione lasci il conto da pagare ai
comuni, che dovranno mettere a disposizione i benefit in termini di riduzione
di oneri urbanistici. Ovviamente c'è una controindicazione: ridurre la
fiscalità edilizia, che farà felici i costruttori, certo non darà beneficio alle
casse dei Comuni, sempre carenti delle risorse necessarie a migliorare lo
spazio e i servizi delle città. Purtroppo la legge ha dimenticato di farsi
carico delle competenze che maggiormente afferiscono alla Regione, quelle che
hanno a che fare con i costi delle bonifiche: così i suoli contaminati,
presenti in molte città ed aree ex-industriali, continueranno ad essere una problema
di cui nessuno vuole farsi carico.
Ma il punto
più controverso della norma è quello relativo alle aree ed edifici agricoli
dismessi: sono migliaia le cascine in mezzo ai campi o su colli e versanti
montani che potranno essere convertiti a qualsiasi altra funzione, senza limiti
di volume, anzi con facoltà di incremento delle superfici (fino al 20%), e
anche senza una valutazione della compatibilità tra il nuovo uso urbanistico e
la struttura rurale e aziendale del territorio agricolo, a parte l'esclusione
di grandi centri commerciali e industrie. E, paradossalmente, anche per il
riuso degli edifici agricoli è previsto lo sconto fiscale: ma sono proprio i
complessi urbanistici isolati e distanti dai centri urbani quelli che
richiedono maggiori costi per la dotazione di standard e servizi.
L'aspetto più
grave della norma è la previsione della dichiarazione di interesse pubblico per
ogni riuso di edifici agricoli. «Così si mettono comuni e province con le spalle al muro – dichiara Damiano Di Simine, coordinatore scientifico di
Legambiente Lombardia –. Si potrà fare qualsiasi trasformazione di
immobili agricoli, infischiandosene dei Piani di Governo del Territorio e
perfino dei Piani Territoriali Provinciali: nessuna disciplina potrà sindacare
i capricci di operatori che intendessero trasformare un nucleo cascinale in un
centro massaggi, o in un complesso residenziale di pregio, o in una sede di
uffici. Si tratta di una norma del tutto ingiustificata e da rivedere in modo
sostanziale».
La rigenerazione
urbana diviene pretesto per intervenire senza limiti sull'edilizia rurale:
basta che gli immobili siano dismessi da almeno tre anni. Possiamo già
immaginare le ondate di sfratti e mancati rinnovi di contratti ad
agricoltori che non sono proprietari delle strutture entro cui operano,
non appena la proprietà fondiaria fiuterà un business. La norma rischia di
spalancare le porte alla speculazione edilizia e finanziaria: basterà avere un
rudere per poter vantare diritti che poi, nella pratica, faranno a pugni con la
possibilità reale di operare le trasformazioni previste in contesti agricoli.
«Per noi la
rigenerazione urbana e il recupero degli edifici in ambito agricolo sono cose serie
e importanti, per questo chiediamo al Consiglio Regionale di rinviare le parti
della legge che, al contrario, mettono a repentaglio la conduzione agricola e
forestale del territorio agricolo: non si può confondere il recupero
dell'edilizia rurale con la promozione di interventi che ne snaturano le
funzioni» Damiano Di
Simine, coordinatore scientifico di Legambiente Lombardia.
Ufficio stampa Legambiente
Lombardia
Silvia Valenti
Tel. 02 87386480
Mob. 3498172191
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