Roma, 19 novembre 2019 Comunicato stampa
Presentato
il rapporto 2019 dell’Osservatorio di Legambiente: è emergenza città
Roma, Milano, Genova, Napoli, Palermo, Catania, Bari, Reggio Calabria e
Torino le più colpite
Dal
2010 a inizio novembre 2019 danni rilevanti in 350 Comuni dovuti al maltempo,
73 giorni di stop a metro e treni, 72 giorni di blackout elettrici. Aumentano
frequenza e impatti delle ondate di calore
Legambiente:
“Siamo l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima.
Invertire il rapporto di spesa tra la riparazione dei danni e la prevenzione,
oggi 4 a 1”
Aree
urbane al centro del rapporto 2019 dell’Osservatorio di Legambiente sull’impatto dei
mutamenti climatici in Italia, un dossier presentato questa mattina a Roma
presso la rappresentanza in Italia della Commissione europea e intitolato Il
clima è già cambiato, come purtroppo dimostrano le inondazioni dei
giorni scorsi a Venezia, Matera e Pisa e gli eventi meteorologici estremi che si
sono abbattuti su molti territori e che colpiscono la penisola con sempre
maggiore frequenza.
L’appuntamento, che precede quello
dell’XI Congresso di Legambiente che si terrà a Napoli nel fine settimana, è stato l’occasione per fare il punto sul
quadro delle informazioni disponibili e sulle politiche europee di adattamento
e i piani per le aree urbane italiane con esperti del settore; tra i
partecipanti Roberto Morassut, sottosegretario Ministero dell’Ambiente,
Valentina Orioli, assessore all’Urbanistica e ambiente del Comune di Bologna,
Maria Luisa Parmigiani, responsabile sostenibilità Gruppo Unipol, Erasmo
D’Angelis, segretario Autorità di bacino Appennino centrale, Fabrizio Curcio,
capo Dipartimento Casa Italia, Edoardo Zanchini e Andrea Minutolo,
rispettivamente vice presidente e coordinatore scientifico di Legambiente.
Le
città sono l’ambito più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici,
perché è lì che vive la maggior parte della popolazione mondiale e perché
episodi di piogge, trombe d’aria e ondate di calore vi hanno ormai assunto
proporzioni crescenti e destinate ad aumentare, insieme alle stime dei danni
che possono provocare.
L’Osservatorio di Legambiente
Cittàclima, realizzato in collaborazione
con il Gruppo Unipol, ha
l’obiettivo di raccogliere e mappare le informazioni sui danni provocati in
Italia dai fenomeni climatici, di contribuire ad analisi e approfondimenti che
riguardano le città e il territorio italiano, oltre a condividere analisi e
studi internazionali e esperienze di piani e progetti di città, paesi, Regioni. L’esatta conoscenza delle zone urbane a maggior rischio sia rispetto alle piogge che alle ondate di calore è fondamentale
per salvare vite umane e limitare i danni. In modo da pianificare e ottimizzare
gli interventi durante le emergenze e per indirizzare l’assistenza, ma anche
per realizzare interventi di adattamento che favoriscano l’utilizzo dell’acqua,
della biodiversità, delle ombre per ridurre l’impatto delle temperature estreme
negli spazi pubblici e nelle abitazioni. Dal
2010 ad oggi, sono 563 gli eventi registrati sulla mappa del rischio climatico,
con 350 Comuni in cui sono avvenuti impatti rilevanti. Nel 2018, il nostro paese è stato colpito da 148 eventi estremi, che
hanno causato 32 vittime e oltre 4.500 sfollati, un bilancio di molto superiore alla
media calcolata negli ultimi cinque anni. Dal 2014 al 2018
le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 68 persone.
Nelle nostre città la temperatura media è in continua crescita e a ritmi maggiori rispetto al resto del Paese. Secondo le
elaborazioni dell'Osservatorio meteorologico Milano Duomo, è un fenomeno
generale e rilevante che riguarda tutte le città con picchi a Milano con +1,5 gradi, a Bari (+1) e Bologna (+0,9) a fronte
di una media nazionale delle aree urbane di +0,8 gradi centigradi nel
periodo 2001-2018 rispetto alla media del periodo 1971-2000. Aumentano gli
impatti del caldo in città, in particolare sono le ondate di calore il
principale fattore di rischio con rilevanti
conseguenze sulla salute delle persone. Uno studio epidemiologico realizzato su 21
città italiane ha evidenziato l’incremento percentuale della mortalità
giornaliera associata alle ondate di calore con 23.880 morti tra il 2005 e il
2016, e mettono in evidenza impatti più rilevanti nella popolazione anziana e
una riduzione negli ultimi anni attribuibile agli interventi di allerta
attivati. Secondo una ricerca del progetto Copernicus european health su 9 città
europee, nel periodo 2021-2050 vi sarà un incremento medio dei giorni di ondate
di calore tra il 370 e il 400%, con un ulteriore aumento nel periodo 2050-2080
fino al 1100%. Questo porterà, ad esempio, a Roma da 2 a 28 giorni di ondate di calore in media all’anno.
La conseguenza sul numero di decessi
legati alle ondate di calore sarà molto rilevante: da una media di 18 si
passerebbe a 47-85 al 2050 e a 135-388 al 2080.
L’accesso
all’acqua è un
altro tema rilevante che, in una prospettiva di lunghi periodi di siccità,
rischia di diventare sempre più difficile da garantire. La situazione nel
nostro paese, già oggi, è complicata, in particolare al Sud, per quanto
riguarda la qualità del servizio idrico e nel
2017, nei quattro principali bacini idrografici italiani (Po, Adige, Arno e
Tevere) le portate medie annue hanno registrato una riduzione media complessiva
del 39,6% rispetto alla media del trentennio 1981-2010. Preoccupante per le città italiane anche l’innalzamento del livello dei
mari. Secondo le elaborazioni
di Enea, sono 40
le aree a maggior rischio in Italia. A rischio sono anche città come Venezia, Trieste, Ravenna, la foce del Pescara, il golfo di Taranto, La
Spezia, Cagliari, Oristano, Trapani, Marsala, Gioia Tauro. D’altronde, secondo
un’indagine di Climate Central
pubblicata sulla rivista Nature, se i ghiacciai
continueranno a sciogliersi al ritmo attuale, 300 milioni di persone che vivono in aree costiere saranno sommerse
dall’oceano almeno una volta l’anno entro il 2050, anche se le barriere
fisiche che erigono contro il mare saranno potenziate.
“Di fronte a processi di questa
dimensione in Italia e nel mondo abbiamo bisogno di
un salto di scala nell’analisi e nelle politiche - dichiara il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini - di sicuro è necessaria una forte accelerazione
delle politiche di mitigazione del clima, per invertire la curva delle
emissioni di gas serra come previsto dall’Accordo di Parigi. Ma in parallelo
dobbiamo preparare i territori, le aree agricole e in particolare le città a
impatti senza precedenti. Il problema è che il nostro Paese non è pronto e non
ha ancora deciso di rendere questi interventi prioritari, fornendo strumenti e
risorse alle città italiane”.
Purtroppo l’Italia è l’unico grande paese senza un piano di
adattamento al clima, che permetterebbe di individuare le priorità di
intervento e ripensare il modo in cui si interviene a partire dalle città. Nel 2014 è stata approvata la Strategia
nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e, per dargli attuazione,
doveva essere approvato il Piano
nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Dopo cinque anni siamo
ancora in attesa che si passi dal campo degli studi a uno strumento capace di
fissare le priorità e orientare in modo efficace le politiche. Legambiente chiede al governo di approvare
quanto prima il Piano di adattamento e di mettere le città al centro delle
priorità di intervento. Inoltre occorre fermare le costruzioni in aree a
rischio idrogeologico che continuano a mettere in pericolo la vita delle
persone. Perché dai dati del Rapporto Ecosistema Rischio di Legambiente si
conferma che i Comuni continuano a realizzare “tombamenti” di corsi d’acqua e a
dare il via libera a edificazioni in aree a rischio. Per queste ragioni l’associazione ambientalista chiede di
approvare una Legge che cambi le regole di intervento nei territori,
mettendo in sicurezza le persone e i luoghi da nuove edificazioni, rivedendo il
modo di intervenire nelle città in modo da adattare davvero gli spazi urbani
alle piogge e alle ondate di calore.
Sul fronte dei costi: l’Italia
dal 1998 al 2018 ha speso, secondo dati Ispra, circa 5,6 miliardi di euro (300
milioni all’anno) in progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del
rischio idrogeologico, a fronte di circa 20 miliardi di euro spesi per
“riparare” i danni del dissesto secondo dati del CNR e della Protezione civile (un
miliardo all’anno in media, considerando che dal 1944 ad oggi sono stati spesi
75 miliardi di euro). Il rapporto tra prevenzione e riparazione è insomma di uno a quattro. Ad
Agosto è stato approvato il Piano stralcio 2019 che individua e finanzia le
opere immediatamente cantierabili nell’anno, scelte in base agli elenchi
forniti in conferenza dei servizi dalle Regioni interessate. Il Piano lavora in
continuità con gli anni precedenti riguardo il recepimento e la stabilizzazione
delle risorse necessarie alla pianificazione contro il dissesto idrogeologico,
ma ancora non è riuscito a uscire della logica di una visione puntuale ed emergenziale
del problema: si conferma una programmazione per Regioni che solo per
sommatoria diverrebbe di “bacino” e non il contrario. Inoltre, non viene mai
menzionata la necessità che gli interventi di mitigazione del rischio debbano
essere rivisti (specialmente se vecchi) in funzione del cambiamento climatico
che stiamo vivendo e agli effetti che si manifestano sui territori. Così come non
viene considerata, al di fuori delle opere strutturali, la necessità di imporre
lo stop al consumo di suolo come misura efficace per mitigare gli effetti del
rischio.
Sulla
base delle informazioni raccolte dall’Osservatorio Cittàclima di Legambiente è
stato possibile mappare le città che nel
corso degli ultimi dieci anni hanno subito il maggior numero di eventi estremi
che hanno, in un modo o nell’altro, messo in ginocchio la città: Roma, Milano, Genova, Napoli, Palermo,
Catania, Bari, Reggio Calabria e Torino.
“Tutte città, molte delle quali metropolitane - commenta Andrea Minutolo, coordinatore scientifico
di Legambiente - da
cui bisogna ripartire con un nuovo approccio culturale e progettuale che
garantisca al tempo stesso la riduzione del rischio idraulico e l’adattamento
al cambiamento climatico. Per parlare veramente di mitigazione del rischio
idrogeologico l’approccio meramente strutturale messo in campo negli ultimi
venti anni basati su concetti come ‘tempo di ritorno’ o ‘evento duecentennale’
non basta più. Gli interventi programmati e che si stanno per finanziare non
sono quindi più adatti perché rispondono esattamente a quelle logiche ormai
superate e rivelatesi poco efficaci”.
Occorre
considerare che anche il non intervento per fermare gli impatti del clima è
una scelta, le cui conseguenze oggi si iniziano a conoscere. Secondo alcune
stime, in Italia, se l’Accordo di Parigi non sarà
rispettato, i danni economici potrebbero
far calare del 7% il PIL pro-capite. Mentre in Russia potrebbe scendere
dell’8,93%, negli Stati Uniti del 10,52% e in Canada circa del 13%. A livello europeo, le conseguenze degli impatti climatici
rischiano di essere drammatiche, con stime che parlano, in assenza di azioni di
adattamento, di ondate di calore che potrebbero provocare entro la fine del
secolo circa 200mila morti all’anno nella sola Europa, mentre i costi delle
alluvioni fluviali potrebbero superare i 10 miliardi di euro all’anno.
L'impatto sarà maggiore sulle fasce di
popolazione più povere che non dispongono di sistemi di raffrescamento. In
Italia il fenomeno della povertà energetica riguarda già oggi oltre 4 milioni
di famiglie. Le elaborazioni su
immagini satellitari realizzate da
e-Geos per Legambiente relative alle città di Milano e di Roma hanno messo in
evidenza come disponiamo di tutte le informazioni per capire i quartieri a
maggior rischio durante le ondate di calore e incrociando i dati con analisi
sullo stato di salute e le condizioni economiche delle famiglie, degli strumenti
per prevenire e ridurre gli impatti sulle famiglie.
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