Milano, 27 febbraio
2015 Comunicato stampa
“Gli unici investimenti possibili sono quelli
per la sostituzione degli inceneritori con impianti per il
riciclaggio e la valorizzazione dei materiali ottenibili dal
rifiuto”
A Busto Arsizio il Consiglio di Amministrazione
della società ACCAM, che incenerisce i rifiuti del Varesotto e
Alto
Milanese, è chiamato a decidere sulla dismissione del suo impianto
che, in assenza di interventi di ammodernamento, costituisce una
bocca da fuoco che divora ogni anno più di 100.000 tonnellate di
materiali di scarto restituendo oltre 20.000 tonnellate di ceneri
e
scorie, emissioni in aria e solo una piccola parte dell'energia
prodotta dalla combustione trasformata in elettricità. In un'altra
parte della Lombardia, in terra bergamasca, la cementeria di
Calusco
d'Adda chiede l'autorizzazione a bruciare oltre 100.000
tonnellate/anno di combustibile derivato da rifiuti in
sostituzione
dell'alimentazione attuale costituita dal micidiale fondo di
raffineria noto come Pet-coke. Ma quella cementeria è circondata,
nel raggio di meno di 25 km, da una selva di ben 6 inceneritori
(Valmadrera in provincia di Lecco, Desio in Brianza, Trezzo nel
milanese e, in provincia di Bergamo, Dalmine, Bergamo e Filago,
quest'ultimo destinato a rifiuti industriali): un 'distretto dei
fumi' in grado di bruciare oltre 500.000 tonnellate di rifiuti
urbani
e derivati, ma, vista la continua riduzione della produzione di
rifiuti urbani indifferenziati, in realtà la capacità di questi
forni è saturata in buona parte, oltre il 40%, da rifiuti
rastrellati dall'industria. Quello di Busto è invece l'unico
inceneritore della provincia di Varese, ma a soli 20 km c'è il
colosso Silla2, in grado di bruciare da solo 550.000 tonnellate
annue
di rifiuti.
Cosa c'è in comune tra queste due storie?
Semplice:
ci dicono che in Lombardia ci sono troppi inceneritori in rapporto
alle reali necessità di smaltimento. La produzione di rifiuto
indifferenziato è crollata, dal 2000 al 2013, di oltre 650.000
tonnellate, e il trend continua ad essere negativo. Merito del
crescente successo delle raccolte differenziate e dei buoni
risultati
del riciclaggio dei materiali, e negli ultimi anni anche della
riduzione complessiva di rifiuti, perchè i lombardi stanno
imparando
- anche per effetto della crisi - a gestire e ridurre i loro
scarti
domestici: gli stili di vita ecologici delle famiglie lombarde
hanno
prodotto il cambiamento. Inoltre si sono sviluppate sempre di più
tecnologie per il trattamento del rifiuto residuo che, anzichè
finire direttamente in un inceneritore, viene lavorato e
trasformato
in un più remunerativo combustibile da utilizzare in sostituzione
di
combustibili più inquinanti da stabilimenti come, appunto, le
cementerie. Ma mentre sul versante della produzione di rifiuti le
politiche virtuose continuano a dispiegare i loro effetti, sul
versante del trattamento dei rifiuti permane una rigidità
impiantistica rappresentata da ben tredici forni con una potenza
di
fuoco sufficiente a incenerire 2,5 milioni di tonnellate annue di
rifiuti. Macchine costose che per portare un margine economico
alle
loro aziende devono funzionare sempre a pieno regime, e quindi
disporre di rifiuto indifferenziato prodotto nelle case e negli
uffici dei lombardi. Peccato che già oggi ne manchi all'appello
qualcosa come 1 milione di tonnellate, una vera voragine nelle
previsioni di produzione di rifiuti destinata, fortunatamente per
tutti, a crescere ancora.
“In Lombardia, dopo aver chiuso la gran parte
delle discariche che fino agli anni '90 costituivano il destino
principale dei rifiuti, è arrivato il momento di spegnere gli
inceneritori - dichiara Damiano Di Simine, presidente di
Legambiente
Lombardia - sono del tutto incomprensibili le resistenze ad un
cambiamento diventato urgente: ostinarsi a considerare gli
inceneritori come degli asset produttivi, specie quelli meno
efficienti e più bisognosi di manutenzione straordinaria come
Busto
o Desio, equivale ad investire in titoli tossici. Le aziende che
gestiscono inceneritori devono affrontare una fase di profonda
ristrutturazione industriale e riposizionare i propri
investimenti.
Le ristrutturazioni non sono mai indolori, ma non farle o
rinviarle
significa intraprendere la via del declino: questo vale oggi per
Accam a Busto, domani per AEM di Cremona e a seguire per gli altri
gestori, come BEA di Desio, REA di Dalmine o SILEA di Lecco;
decidere
oggi di puntare sulla piena operatività degli inceneritori
significa
impegnare tempo e denaro su una strada senza uscita anzichè
concentrare le risorse verso l'innovazione di processo con
tecnologie
e impianti che consentono il massimo di valorizzazione di tutte le
frazioni derivate dal rifiuto”.
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