Migliorano il paesaggio e neutralizzano gli allagamenti assorbendo l’acqua piovana in eccesso. Basta un’area verde marginale alle strade o alle piste ciclabili
Il progetto milanese Zara-Expo di interventi agronomici (da Studio Laura Gatti)
Li chiamano rain garden,
sono belli da vedere ma soprattutto utili: raccolgono le acque piovane e
le fanno assorbire lentamente dal terreno, così limitano gli
allagamenti in caso di piogge torrenziali. «È un intervento facilmente
fattibile dai privati, ma ancora di più dalle amministrazioni pubbliche
che hanno a disposizione una soluzione efficace e a basso costo», spiega
Laura Gatti, agronoma e paesaggista milanese. «In base all’estensione,
possono ridurre l’acqua in arrivo alle reti di scolo fino al 50%». Non
richiedono grandi spazi per essere implementati: le strisce di prato che
corrono lungo le strade o le piste ciclabili, le aiuole di un
parcheggio, le aree verdi marginali sono gli ambienti ideali per un
giardino della pioggia.
Rain garden
Oggi
queste superfici per le amministrazioni rappresentano solo un costo,
visto che periodicamente va falciata l’erba, e per i cittadini sono un
ben triste panorama. «Si tratta di creare un leggero avvallamento,
dotarlo di un substrato altamente drenante e piantare specie adatte»,
continua Gatti, «in modo che possa accogliere l’acqua piovana e poi
rilasciarla nel giro di 24-48 ore al massimo. Il giardino della pioggia
non diventa quindi un’area costantemente umida e non esiste il rischio
di invasione delle zanzare. Le piante sono scelte fra specie autoctone,
adatte a sopportare allagamenti ricorrenti alternati a periodi di
siccità. Vanno ad aumentare la biodiversità e richiedono una
manutenzione molto limitata. La ritenzione idrica temporanea, che varia
dal 20 al 50 %, riduce la quantità di acqua che viene convogliata nella
rete esistente e ne riduce il collasso».
Assorbimento
Aiutano
così il funzionamento delle fognature, la cui capacità non è cresciuta
al passo con la città e che non sempre hanno una manutenzione adeguata,
contrastando gli effetti della cementificazione: a partire dal 1955, per
fare un esempio, il suolo impermeabilizzato in Lombardia è passato dal
4% al 14,5%. A parità di superficie, l’acqua che defluisce da un’area
edificata è nove volte superiore a quella di una area verde, ma i rain garden
sono in grado di assorbire il 30% di acqua in più di un normale prato.
«Oltre a causare problemi alla popolazione, anche l’impatto ambientale
degli allagamenti è molto pesante», aggiunge Gatti.
Fitodepurazione
«È
stato calcolato che fino al 70% degli inquinanti di fiumi, laghi, mari
sia veicolato dalle acque di ruscellamento superficiale. I giardini
della pioggia realizzano invece una forma di fitodepurazione. Residui di
fitofarmaci, fosforo, azoto, metalli pesanti e particolato vengono
filtrati dalle piante e dal terreno andando a risparmiare l’ambiente».
In Italia sono ancora poco conosciuti, ma oltreoceano i rain garden hanno quasi trent’anni. Il termine è stato coniato nel 1988 nel Maryland e da oltre un decennio sono entrati a far parte delle landscape regulation
di molte città come Chicago, Toronto, Seattle e Melbourne. Dal 2008
sono stati inseriti nell’agenda per la sostenibilità di New York.
Gli esempi
A loro spetterà il compito, secondo il progetto newyorkese PlaNYC,
di trattenere temporaneamente più del 50% dell’acqua piovana. A Londra,
l’architetto paesaggista Nigel Dunnett ha saputo creare nei giardini
olimpici esempi di grande bellezza. A Milano sorgerà uno dei primi rain garden pubblici d’Italia, progettato proprio da Laura Gatti per conto di Metropolitana milanese. Si tratta del progetto di riqualificazione della Strada Interquartiere Nord, che da viale Zara arriva all’Expo.
Entro aprile sarà ultimata solo la prima tratta della strada, quella
più vicina all’esposizione, ai bordi sorgeranno giardini secchi a
manutenzione zero e alcuni piccoli esempi di rain garden.
Sarà la seconda tratta, però, a ospitare la realizzazione più
significativa: oltre 500 metri di giardini anti-alluvione. La marcia dei
rain garden è già cominciata, ma per vederli all’opera serve ancora un po’ di pazienza.
Fonte: Corriere della sera.it - 1 aprile 2015
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